Tutti ignorano l’Abkhazia la repubblica che non c’è

by Editore | 6 Giugno 2011 7:18

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MOSCA – Che ci fanno insieme nella stessa storia, un popolo di montanari e contadini del Caucaso del Nord, un lontano arcipelago di atolli e vulcani nell’Oceano Pacifico e 300 abilissimi giocatori di domino sudamericani? Ci fanno un mezzo scandalo internazionale seguito, con una certa apprensione e con interessi opposti, sia alla Casa Bianca che al Cremlino. Protagonista principale della vicenda è la tormentata regione dell’Abkhazia, che si autodefinisce stato indipendente dopo la guerra dell’agosto del 2008 tra Russia e Georgia che mise a dura prova le capacità  delle diplomazie di mezzo mondo per evitare un conflitto più grave e su più vasta scala.
Da allora, grazie al sostegno militare dell’esercito russo e agli aiuti economici elargiti sottobanco da Mosca, la piccola repubblica di Abkhazia (240mila abitanti in 8mila e cinquecento chilometri quadrati) ignora le minacciose rivendicazioni georgiane e cerca disperatamente un riconoscimento diplomatico che tarda ad arrivare. La lista dei Paesi che finora hanno deciso di inviare un loro ambasciatore nella capitale abkaza, Sukhumi, è desolatamente breve: la Russia, ovviamente; il Venezuela dell’amico personale di Putin, Chavez; il Nicaragua che il Fondo Monetario Internazionale definisce il Paese più povero dell’America Latina; e l’isola di Nauru, in Oceania, la più piccola repubblica indipendente del mondo con i suoi 21 chilometri quadrati.
Alla lista, con grande risalto sui giornali russi più allineati al governo, si è aggiunto l’altro ieri un altro nome esotico, la repubblica di Vanuatu, un arcipelago di 83 isole vulcaniche dall’altra parte della carta geografica, nel Mar dei Coralli, tra Nuova Caledonia e Isole Salomone. Non è proprio una grande potenza ma rappresenta comunque una piccola vittoria diplomatica per Sukhumi e soprattutto per Mosca impegnata a dare un senso sempre più ampio allo strappo territoriale del 2009. Il guaio è che questo tanto propagandato riconoscimento non sembra così lineare e nasconde probabilmente anche un retroscena di pressioni politiche e di vera e propria compravendita. Subito dopo l’annuncio infatti, a smentire tutto, ci ha pensato il signor Donald Kalpolkas, che vive a New York e fa il rappresentante di Vanuatu presso le Nazioni Unite. «Deve esserci un equivoco – ha spiegato candidamente ai giornali – a Port Vila, la nostra capitale, nessuno sa nulla. D’altra parte noi abbiamo un accordo con la Georgia e con gli Stati Uniti, non certo con l’Abkhazia e la Russia».
Imbarazzato, e probabilmente severamente rimproverato da Mosca per essersi sbilanciato un po’ troppo in avanti, il ministro degli Esteri abkazo ha mostrato in tv un attestato di riconoscimento inviato via fax dalle isole tropicali: «C’è la firma del primo ministro di Vanuatu, ci abbiamo messo tre mesi per convincerlo». Il fatto è che a Vanuatu la situazione politica non è molto tranquilla. Il premier, nominato dalla locale corte suprema al termine di elezioni contestate, rischia di essere deposto da un momento all’altro e cerca probabilmente a sua volta sostegno internazionale. E forse, sostengono molti maligni, anche qualche beneficio personale. Perché la campagna acquisti di Mosca nell’intento di trovare paesi disponibili a riconoscere l’Abkhazia sembra sempre più decisa. E concentrata su aree del mondo lontane e poco suscettibili alle pressioni Occidentali. Soprattutto dopo il fallito tentativo di coinvolgere paesi europei come l’alleato bielorusso Lukashenko che prima aveva promesso di aderire e che poi si è rimangiato tutto spiegando personalmente a Putin che non era il caso di urtare ancora di più la suscettibilità  di Washington che già  lo definisce, con molte valide motivazioni, “l’ultimo dittatore d’Europa”.
Mosca non commenta ma insiste nel suo piano di legittimazione dell’Abkhazia. Non badando a spese. Pochi mesi fa ha stanziato un milione di dollari per realizzare in ottobre a Sukhumi, nientedimeno che i campionati mondiali di Domino, l’unico sport la cui federazione è in qualche modo controllata dal Venezuela. Alla manifestazione sono già  iscritti trecento giocatori professionisti, maghi delle tavolette d’avorio, in gran parte latino americani. Ma le pressioni e i premi individuali “in nero” potrebbero portare nuove sorprese. Molti giocatori statunitensi, infatti, nonostante il veto ufficiale sembrano disposti a sfidare l’embargo. Contando sulla massiccia componente latina dei giocatori di Domino degli Usa il presidente della federazione americana, Manuel Oquendo ha già  lanciato la sfida: «Non credo che ci chiederanno di mischiare lo sport con la politica. Andremo a Sukhumi». Per i registi della televisione russa, incaricati direttamente da Putin di dare spazio all’evento, comincia adesso la sfida più difficile: rendere interessante il Domino in tv.

 

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