Tutti i pericoli (e le insidie) di un testo contraddittorio

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Un accordo il cui testo, pur esistente da molti giorni, è stato reso noto solo ieri merita un approfondimento meditato, ma qui si tenterà  un primo commento solo sui contenuti.

La rappresentatività  sindacale Il punto 1 prevede la certificazione della rappresentatività  sindacale per la contrattazione di categoria, sul modello del lavoro pubblico (media tra voti nelle elezioni e deleghe certificate dall’Inps, il 5% come soglia di accesso). È un modello collaudato, che configura un sistema aperto di relazioni sindacali: prenderanno parte alla negoziazione tutti i sindacati che raggiungano il 5 percento. Non potrà  però essere tradotto in legge, perché non conforme a quanto previsto dal dettato costituzionale, che condiziona l’efficacia generale del contratto nazionale all’assenso di una rappresentanza unitaria composta in proporzione (soltanto) agli iscritti.
Il contratto nazionale Il punto 2 definisce la funzione del contratto nazionale in termini («garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni»), in parte smentiti dal punto 7. Contrariamente al documento Cgil del 15 gennaio, non sono previste forme di validazione del contratto nazionale, né in base alla rappresentatività  (nel lavoro pubblico per legge occorre il consenso di sindacati che rappresentino il 51%), né con il voto dei lavoratori (referendum). Nell’intesa tra i sindacati si rinvia per i contratti nazionali a regolamenti da definire tra le federazioni di categoria per l’approvazione delle ipotesi di accordo: e questi regolamenti «potranno prevedere» – e dunque anche non prevedere – «momenti di verifica per l’approvazione degli accordi mediante il coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori». Insomma, non è previsto nulla che possa prevenire la sottoscrizione di contratti nazionali separati.
Le rappresentanze sindacali La Uil aveva disdettato il Protocollo del 1993, prima base giuridica delle Rsu. L’accordo ne prevede invece la conferma, ma in forma ambigua. Al punto 4 prevede determinati effetti per il contratto aziendale, se approvato dalla maggioranza Rsu «eletti secondo le regole interconfederali vigenti» (dunque, con il terzo riservato ai firmatari del ccnl). Va osservato però che le «regole interconfederali vigenti» presumibilmente non lo saranno più il 13 ottobre a seguito della disdetta da parte della Uil. E dopo? L’intesa prevede che «le categorie definiranno regole e criteri per le elezioni delle Rsu»: il che avvierebbe una categorializzazione delle regole delle Rsu. Ma il punto 4 parla di consenso della maggioranza Rsu eletta con le regole interconfederali: e quindi quello di una Rsu eletta secondo regole categoriali non potrebbe produrre gli stessi effetti.
Non so se si tratti di un errore tecnico; o se si pensi a un nuovo accordo interconfederale sulle Rsu. L’oscurità  si accresce con il punto 5, cioè la possibilità  che vi siano contratti aziendali sottoscritti dalle Rsa previste dallo statuto dei lavoratori (separate per ogni sindacato). Forse, dove le federazioni di categoria raggiungano un accordo su come eleggerle, vi saranno Rsu; e altrimenti, ci saranno solo Rsa: il che appare confermato dal commento della segreteria Cisl. È evidente la difformità  dalla posizione Cgil di gennaio.
Il contratto aziendale Al punto 4 si prevede l’efficacia generale del contratto aziendale, sia per i dipendenti, sia per i sindacati firmatari dell’accordo. Questo duplice effetto deriverebbe dai contratti stipulati con il consenso della maggioranza della Rsu, o da Rsa di sindacati che abbiano la maggioranza degli iscritti (sul totale dei sindacalizzati nell’azienda nell’anno precedente, non dei lavoratori). Solo in quest’ultimo caso il contratto aziendale può essere soggetto a referendum se lo chieda un’organizzazione sindacale firmataria dell’accordo o il 30 percento dei lavoratori. Ne consegue la rinuncia dei consenzienti a stipulare se il referendum lo boccia.
Le deroghe al contratto nazionale Al punto 7 si prevede che i contratti aziendali possano derogare il contratto nazionale, con «specifiche intese modificative» (non implicitamente) e «anche in via sperimentale e temporanea» (anche in via definitiva). I limiti e le procedure saranno previsti nei contratti nazionali (anche separati). «Ove non previste» (alcuni contratti le prevedono già ) «e in attesa che i rinnovi definiscano la materia nel contratto collettivo nazionale di lavoro applicato all’azienda», c’è una norma transitoria, che abilita le rappresentanze sindacali (Rsa o Rsu) «d’intesa con le organizzazioni sindacali firmatarie del presente accordo» (la facoltà  di deroga non esistente nel Ccnl c’è a condizione del consenso di tutte le organizzazioni firmatarie, anche di Cgil). Non sono ammesse, quindi, deroghe separate. In ogni caso, si tratta di deroghe meno controllate e più larghe di quanto previsto nell’accordo interconfederale separato del 2009.
Lo sciopero L’effetto principale del contratto aziendale sottoscritto ai sensi dei punti 4 o 5 deriva dal punto 6: «clausole di tregua sindacale», che vincolano i sindacati aderenti alle confederazioni firmatarie. In pratica, un contratto aziendale separato dispone anche del diritto di sciopero della Fiom. Lo stesso punto 6 prevede che il vincolo sia solo per i sindacati e non per i lavoratori, perché il diritto di sciopero è sinora stato ritenuto un diritto a titolarità  individuale. Quindi la Fiom non potrebbe scioperare, un comitato spontaneo di lavoratori, anche iscritti, sì. È logico temere che poi verrà  l’attacco alla titolarità  individuale del diritto di sciopero.
Una legge? In nessun punto dell’accordo si parla di un intervento del Parlamento. Ma le previsioni sull’efficacia e gli effetti del contratto aziendale difficilmente potrebbero reggere alla contestazione giudiziaria di singoli o sindacati dissenzienti, senza una legge. Il desiderio del fronte datoriale è proprio una legge sulla «esigibilità » del contratto aziendale. È dubbia, però, la legittimità  costituzionale di un intervento legislativo che privilegi, con il terzo riservato che fa maggioranza, i sindacati firmatari di Ccnl.
La Fiat L’accordo non tocca la vicenda Fiat, perché è successivo, perché smentisce la tendenza verso relazioni sindacali puramente aziendali, perché le esigenze di Fiat sono anche la non applicazione delle norme comunitaria e nazionale sul trasferimento di azienda (e dunque non possono essere soddisfatte per accordo né per legge), perché le deroghe aziendali al contratto nazionale appaiono condizionate al consenso della Fiom in quanto non contenute nel Ccnl unitario del 2008 e tuttora vigente.
*Università  di Foggia

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SINDACATO DI BASE
«È la santificazione della dottrina Fiat»

 L’accordo unitario sui contratti e la rappresentanza sindacale siglato martedì da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, viene definito dai sindacalisti dell’Usb (Unione sindacale di base) «uno degli atti più vergognosi nella storia delle relazioni sindacali», «con buona pace di chi per mesi ha raccontato la favoletta che la Cgil era diversa, che assumeva la democrazia nei luoghi di lavoro come tratto fondante del proprio agire». Secondo il sindacato di base l’accordo siglato tra le parti «è la santificazione della dottrina Marchionne».


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