Turchia, verso il voto

by Sergio Segio | 2 Giugno 2011 5:18

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La bomba esplosa a Istanbul pochi giorni fa, indica come la situazione sia tutt’altro che sotto controllo, con il forte rischio che degeneri dopo le elezioni. Le prossime consultazioni elettorali saranno decisive per l’attuale governo dell’Akp, che secondo i pronostici dovrebbe attestarsi intorno al 45-50 per cento dei voti. La vera rivelazione di queste elezioni con molta probabilità  sarà  però legata al partito repubblicano del Chp, che potrebbe aumentare il proprio elettorato raggiungendo il 30 per cento dei voti. Un segnale di come in Turchia si stia formando un’opposizione capace di convogliare le aspirazioni di una parte della società  che non si riconosce nell’attuale governo Erdogan e nelle sue auspicate riforme in nome di un islamismo moderato.

La campagna elettorale è in una fase concitata e i leader dei due principali partiti sono in tour per tutto il Paese con la missione di conquistare il maggior numero di voti. Storicamente l’Akp ha sempre contato su di un bacino elettorale rappresentato dalle “tigri dell’Anatolia“: quelle provincie del sud-est turco che in questi anni sono riuscite ad accrescere il loro peso economico e politico grazie al fenomeno del “calvinismo islamico“, tanto caro al premier Erdogan e al presidente Gul. Il partito del Chp, invece, ha sempre avuto le sue roccaforti nella parte sud-ovest del Paese, con Izmir in testa. Le due compagini politiche, per cercare di aumentare il proprio peso all’interno del prossimo Majles turco, ora si scontrano su temi come sicurezza e avanzamento nel processo democratico, con un occhio di riguardo alla questione curda.

Il periodo pre-elettorale è stato contraddistino da numerose manifestazioni di protesta in tutto il Paese: ci sono stati numerosi scontri tra manifestanti curdi e la polizia. Istanbul, Dyiarbakir, Batman, Bingol sono solo alcune delle città  dove si sono verificati i maggiori disordini. Inoltre, si è verificato un sistematico attacco agli uffici rappresentativi del Bdp (partito filo-curdo), come a Istanbul, Kocaeli e Bursa. Anche per questi motivi, il tour di Erdogan nelle provincie a maggioranza curda è stato piuttosto fallimentare, se si considera la bassa affluenza nei suoi comizi. Inoltre, sono state completamente disattese le richieste avanzate da numerosi politici curdi, tra cui Osman Baydemir e Leyla Zana, per un riconoscimento formale, sia sul piano dei diritti civili sia per un maggiore coinvolgimento della loro rappresentanza politica, durante la campagna elettorale.

Erdogan ha più volte affermato durante i suoi comizi che non esiste una “questione curda” in Turchia bensì esistono cittadini curdi turchi. Questa presa di posizione lascia intendere come il nuovo approccio dell’Akp nei confronti della minoranza sia basato sul concetto di “inclusione passiva”, delegittimando le richieste di autonomia su base etnica attraverso una politica populista e retorica, intrisa di religione e nazionalismo. Anche il diretto avversario Kemal Kilià§daroglu ha sostenuto, in un comizio nella città  di Van, come l’unico partito in grado di affrontare al meglio la questione curda sia il Chp, escludendo di fatto ogni tentativo di alleanza con il Bdp.

Per quanto riguarda il tema della sicurezza, la questione legata al Pkk è di centrale importanza per varie ragioni. Nel corso delle elezioni dal 2002 al 2009, nazionali e amministrative, il gruppo armato ha sempre avuto un ruolo decisivo nel difendere gli interessi della rappresentanza politica curda dagli innumerevoli tentativi, soprattutto da parte dell’Akp, di conquistare consensi grazie a promesse di riforma e apertura verso la minoranza etnica.

La disillusione nei confronti del partito di Erdogan ha dato nuovo slancio al partito filo-curdo del Bdp, che sta registrando numerose adesioni ma che con molta probabilità  non riuscirà  a superare la soglia di sbarramento per entrare nel prossimo parlamento. Intanto, dal carcere di Imrali, il leader del Pkk Abdullah Ochalan ha rilasciato un comunicato con il quale ha avvertito il governo turco che se non sarà  affrontata seriamente la questione curda, “ci sarà  una rivolta popolare che porterà  a disordini in tutto il paese”; l’ultima data utile per questa riconciliazione è stata fissata al 15 di giugno, tre giorni dopo le elezioni. Quali saranno le conseguenze, è difficile prevederlo.

ICTS Analyst*

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