by Editore | 12 Giugno 2011 7:38
Non è retorica: ma è veramente una ferita che non si rimargina mai, per tutti noi. È un’esperienza che non auguro a nessuno.» Tullio De Mauro, grande linguista di fama internazionale, classe 1932, aveva dieci anni meno di Mauro, il giornalista de L’Ora di Palermo rapito il 16 settembre 1970. Da quel giorno di lui non si è saputo più nulla. Ora la sentenza della Corte d’Assise di Palermo toglie di scena Riina. Tullio De Mauro sceglie, da studioso del campo, le parole con estrema cura. La sua commozione è intensa, profonda. E rigorosamente sobria. Lei, professore, dopo questi quarant’anni, ha una sua ipotesi? «In famiglia non abbiamo mai sposato una tesi in particolare. Ma personalmente ho grande ammirazione per la sentenza di rinvio a giudizio del testimone Mario Ronchi che il pubblico ministero Vincenzo Calia scrisse nel 1997 per l’omicidio di Enrico Mattei dopo lunghe e dettagliate indagini. Ebbe il merito di isolare con certezza l’esplosivo collocato sull’aereo. Mise le mani sulle connivenze molto “in alto”che portarono all’insabbiamento delle indagini: i carabinieri di Landriano che rifiutarono le testimonianze di chi aveva assistito all’esplosione dell’aereo, e poi si rivelarono numerosissime. Mario Ronchi che prima affermò di aver visto tutto, “una palla in cielo”, e il giorno dopo ritrattò. Certi strani regali che arrivarono a chi non parlò o negò l’esplosione. A Calia si deve la trasmissione degli atti alla procura di Palermo, convinto che ci fossero elementi sufficienti per una connessione tra i due casi. Un grande magistrato. Puntiglioso. Esemplare. Conosceva a memoria tutte le carte. Ogni tanto mi chiamava e mi chiedeva: “Ma davvero lei, quel giorno di ottobre disse che…”e citava frasi che sinceramente mi ero dimenticato di aver pronunciato» . Che rapporto personale ha con la magistratura, che giudizio, dopo tanti anni di indagini e sentenze? «Vedo eccellenti professionisti al lavoro. Ma in generale credo che i migliori magistrati parlino con le sentenze e non con dichiarazioni estemporanee. Poi c’è qualcuno che ricorre alle incriminazioni anche quando non ha realmente le carte in mano. Incidenti di percorso su un tragitto pieno di autentici eroi. Però capisco che, certe volte, l’incriminazione può servire a smuovere acque in cui si muovono servizi segreti, magari deviati, che sfuggono agli accertamenti. Per parlare dell’oggi, della materia che ci interessa, il magistrato giudicante di Palermo ha trasmesso gli atti alla Procura perché proceda contro alcuni personaggi legati appunto ai servizi segreti. Ciò dimostra che si immagina una rete più ampia… E che non si precludono ulteriori passi» . Comunque le sembra più verosimile che suo fratello abbia pagato le indagini sul caso Mattei per il film di Franco Rosi piuttosto che le notizie sul golpe Borghese… «Mauro, che stava appunto lavorando al materiale per il film di Franco Rosi su Mattei, commise un errore frutto della sua ingenuità . Disse a noi familiari e a molti, forse troppi amici, che aveva una notizia bomba, qualcosa di grande, enorme… Fu un clamoroso sbaglio, soprattutto in una città come Palermo. Leonardo Sciascia sintetizzò così: aveva detto le cose giuste alle persone sbagliate. Ma Mauro era un entusiasta. Un carattere molto aperto. Molto… napoletano» . Lei parlò spesso con Sciascia della scomparsa di Mauro? «Spesso e a lungo. Dopo il rapimento, gli amici che a Palermo ci rimasero vicini si potevano contare sulle dita di una mano. C’era chi ci vedeva da lontano e cambiava marciapiede pur di non salutarci. Una sconvolgente sensazione di isolamento. Sciascia invece ci fu vicinissimo. Si arrovellò per anni e anni, tentando di capire cosa fosse veramente accaduto» . Il caso Mattei, morte tragica… «Ecco, attenzione… non vorrei fare qui il linguista puntiglioso, ma suggerirei caldamente in futuro di non scrivere mai più “tragico incidente”parlando di Mattei. Sarebbe una pia finzione. Fu un omicidio deliberato. Questa è la corretta definizione» . Quali altri aspetti della scomparsa di suo fratello non le fanno pensare al delitto mafioso? «Se la mafia decide di uccidere per un qualche sgarro, di solito lo fa con un’esecuzione. Un colpo di lupara per strada, e che serva da lezione a tutti… Far sparire completamente una persona è invece operazione difficilissima, persino per la mafia. E poi, un altro fatto: il gran viavai di agenti e funzionari dei servizi segreti che si vide a Palermo nei giorni successivi alla sua scomparsa, tutti molto agitati. Ripensando a Calia, molti elementi quadrano e uniscono l’assassinio di Mattei a quello di mio fratello» . Nel linguaggio dei segni, la sparizione significa qualcosa? «È sicuramente un dato sul quale riflettere ancora, nonostante il tempo passato. Non mi pare roba da mafia locale. No….» Pensa che Riina sia completamente estraneo alla vicenda? «Credo che Riina, all’epoca dei fatti, fosse già importante ma molto giovane. E credo anche che lui sappia cosa sia accaduto e come, anche se non è stato lui direttamente ad agire, ad aver materialmente eseguito il compito. Spesso con mia moglie progetto di chiedere un permesso speciale e di andarlo a trovare in carcere per parlargli. Per chiedergli, guardandolo negli occhi, cosa davvero sappia. Forse è una sciocchezza, perché ne avrebbe parlato ai magistrati. O forse no. Chissà , un giorno quel permesso lo chiederò davvero» . In quanto al golpe Borghese, molti sottolinearono i rapporti con gli ambienti della destra che aveva Mauro De Mauro per via dei suoi trascorsi repubblichini. «Aveva rotto con quegli ambienti da anni e anni. Lo so, in tanti sono tornati sui suoi anni giovanili, sul suo processo per collaborazionismo. Prima una condanna durissima, poi l’assoluzione con la vecchia formula della mancanza di prove… Impiegò molto tempo a cominciare una vera vita. Grazie all’avvocato Filippo Ungaro, la sentenza definitiva della Cassazione lo assolse per non aver commesso il fatto e solo dopo, nel 1949, partì con la professione giornalistica. Anch’io avrei voluto seguire quella strada. Poi la mia vita è andata altrove…» . Tornando al golpe Borghese? «Insomma, Mauro era un profondo conoscitore della mafia palermitana e dei suoi singoli protagonisti. Potrebbe anche aver saputo qualcosa sui nessi col golpe Borghese. Ma non penso sia lì il vero nodo» . C’è in tutta questa storia un particolare che l’ha colpita più di ogni altro? Un dettaglio… «Mi viene amaramente da sorridere ma penso ai nastri. Ci sono stati quelli con le registrazioni televisive di mio fratello mangiati dai topi. E poi i nastri smagnetizzati con le registrazioni dei testimoni dell’esplosione dell’aereo di Mattei, nel passaggio in cui si parlava del lampo… Ma gli smagnetizzatori dei tempi non fecero i calcoli con il labiale che rimaneva nelle immagini. È bastato sottoporle a un esperto del linguaggio dei sordomuti per ricostruirli. Una fatica inutile. Ecco perché sorrido» . Sua cognata vive a Roma. Continuate ad avere rapporti stretti? «Sì, continui e molto stretti. Con lei e con la mia nipote superstite. C’era anche un’altra figlia di Mauro, Junia, purtroppo nata con una brutta malformazione cardiaca giudicata ai tempi inoperabile. Dissero subito che non avrebbe superato la primissima giovinezza. E così purtroppo fu, nonostante mille e mille visite da tutti i luminari del tempo. E dire che adesso quella malformazione viene tranquillamente operata, sempre con esiti positivi. Un altro grande dolore» Dopo quarantuno anni cosa porta dentro di sé di Mauro? «Tutto. Cioè tantissimo. Nacqui molto tempo dopo i fratelli grandi. Io gli fui quasi affidato. Mi portava in giro per Napoli. Ricordo come fosse ora il suo passo svelto, rapido, lo rincorrevo. Sono sempre stato per lui il fratello piccolo» E cosa le manca, oltre a una sentenza e a un colpevole, per chiudere psicologicamente una storia come questa? «La sepoltura. Senza dubbio. Elaborare una morte senza una tomba, un luogo, è pressoché impossibile» . Lei è un laico dichiarato. Non è mai ricorso alla fede? «Sono un cane sciolto. No, direi che la fede… no» . Quindi non ha mai pregato per suo fratello Mauro? «No. Però ci penso continuamente. Non ho mai smesso. Spero che basti» .
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