by Sergio Segio | 6 Giugno 2011 13:04
La storia era strana perché Pnumocystis carinii (oggi si chiama Pnumocystis jiroveci) era noto come un protozoo in grado di provocare disturbi seri solo in organismi con una deficienza immunitaria, ad esempio nei neonati prematuri, mentre i 5 giovani americani sembravano sani come pesci prima di contrarre la polmonite. In quel momento ancora non si sapeva, ma L’Aids faceva così il suo ingresso nel mondo. Quell’articolo, come si ricostruì più tardi, descriveva in realtà i primi casi di quella Sindrome da Immunodeficienza acquisita che accompagna l’umanità ormai da trent’anni, modificando la vita di milioni di persone e la storia della medicina.
A trent’anni di distanza, si può dire che l’Aids è stata la peggior pandemia della storia dell’umanità con oltre 60 milioni di infezioni, quasi 30 milioni di morti e nessuna cura definitiva in vista. Come è stata affrontata? Gli esperti di tutto il mondo in questi giorni tentano di fare un bilancio. Non c’è dubbio che sono stati raggiunti molti risultati positivi. A cominciare dalla messa a punto delle terapie antiretrovirali che hanno reso l’Aids non più una malattia mortale, ma una infezione con la quale convivere a lungo. La prevenzione ha permesso di evitare milioni di contagi. La necessità di rispondere alla minaccia del nuovo virus ha instaurato un nuovo modo di fare ricerca, più aperto e collaborativo: la scienza si è globalizzata. Sono stati messi in piedi sistemi di sorveglianza delle malattie infettive che permettono in breve tempo di individuare un focolaio epidemico e di intervenire.
Tuttavia, abbiamo assistito anche a molte sconfitte. Basti pensare che nel 1984 il segretario alla salute degli Stati Uniti pronosticava che il vaccino contro l’Hiv sarebbe arrivato entro due anni. Di anni ne sono passati quasi trenta, ma il vaccino ancora non è neppure in vista. E, nonostante i milioni di euro spesi in prevenzione, ancora oggi 2,6 milioni di persone si infettano ogni anno nel mondo. E ancora, di tutte le persone che, secondo i criteri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità , avrebbero diritto al trattamento, solo un terzo lo ricevono effettivamente. Mentre non è ancora chiaro quale debba essere l’uso ottimale dei farmaci per interrompere la trasmissione del virus da persona a persona. La tubercolosi rimane il principale killer di chi ha l’infezione da Hiv in Africa, ma le nostre armi contro questa vecchia malattia sono antiche e spuntate.
Come si vede da fare ce n’è ancora molto. Secondo gli ultimi dati dell’Unaids, nel mondo ci sono 33 milioni di persone infettate da Hiv, di cui 3 milioni sono bambini. In Italia si stima che siano 150 mila le persone con Hiv e circa 22 mila quelle affette da Aids. Un sieropositivo su quattro non sa di essere infetto. Non sappiamo ancora come andrà a finire, ma la storia degli ultimi trent’anni ci dà modo di sperare.
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