Torino, bimbo muore in ospedale “Impianto in tilt, sfiorata la strage”

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TORINO – Il viaggio della speranza di Luis si è interrotto ieri pomeriggio nel modo più assurdo. Un guasto nell’erogazione dell’ossigeno all’ospedale Regina Margherita gli ha tolto il respiro per una manciata di minuti. Pochi, ma interminabili e fatali per lui che era già  in gravissime condizioni. Anche altri otto bambini sono rimasti per lo stesso tempo senza ossigeno, ma le manovre rianimatorie di medici e infermieri li hanno strappati alla morte.
«Poteva essere una strage», ha commentato il procuratore Raffaele Guariniello che ha subito aperto un’inchiesta per omicidio colposo, e nel pomeriggio ha effettuato un lungo sopralluogo insieme ai carabinieri dei Nas.
A soli dieci anni, Luis stava lottando per vivere. Era arrivato dal Venezuela fino a Torino cinque anni fa per combattere la sua leucemia. Aveva già  subito un trapianto di midollo osseo. Ma negli ultimi giorni a peggiorare la situazione si era messa anche una brutta polmonite. Da quasi tre settimane Luis era ricoverato nel reparto di rianimazione, costretto a respirare ossigeno puro al cento per cento. Alle 15 e 30 di ieri però il suo monitor ha cominciato a dare l’allarme. E non solo il suo. Anche quello di tutti gli altri bambini che erano attaccati a un respiratore.
Nove monitor hanno preso a suonare come impazziti, insieme alla strumentazione a muro, dove ci sono le prese e partono i tubi, uno di aria e uno di ossigeno (che vengono forniti dalla multinazionale Rivoira).
I gas vengono infatti miscelati insieme a seconda delle necessità  del malato. Gli allarmi segnalavano la “desaturazione” dei livelli di ossigeno nel corpo dei piccoli pazienti: due bimbi in quel momento erano in sala operatoria, quattro in cardiorianimazione, altri tre in rianimazione. Accorrono medici e infermieri, cercano di capire cosa stia succedendo. Lo sguardo si dirige prima ai pazienti, poi alle macchine: il personale si rende conto che si dev’essere verificato un guasto. Vengono subito staccati i respiratori e cominciano le manovre rianimatorie con gli “ambu”. Ma anche i ventilatori portatili a mano non funzionano: prelevano l’aria dalla stessa presa, esce una miscela gassosa, eppure i monitor continuano a suonare segnalando livelli di ossigeno tra l’uno e l’otto per cento. «Nell’aria che respiriamo c’è il venti per cento di ossigeno – spiega sconsolato il primario di rianimazione Giorgio Ivani – non sappiamo cosa sia uscito dall’erogatore: di certo non era aria e non era ossigeno, e il perossido di azoto noi non lo utilizziamo da anni. L’interruzione è durata pochi minuti, il personale ha fatto veramente tutto il possibile: siamo riusciti a salvare tutti i bambini tranne lui, perché era l’unico che respirava ossigeno puro e la sua vita era già  appesa a un filo».
Quando i medici hanno capito che nemmeno gli “ambu” stavano funzionando, hanno attaccato il respiratore alle bombole d’emergenza poste accanto al letto. I valori dei pazienti hanno ricominciato a salire. Tutti tranne quelli di Luis: il suo cuore aveva già  smesso di battere. In quel momento insieme al bimbo c’erano i genitori: hanno vissuto i drammatici momenti dell’allarme, e le disperate manovre dei medici.
L’ospedale ha redatto una relazione: «Non sappiamo come sia potuto accadere». L’inchiesta della procura accerterà  la dinamica e le responsabilità  dell’incidente.


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