Svaligiato Aiazzone, il blitz dei clienti truffati
POGNANO (Bergamo) – Vieni vieni vieni da Aiazzone quanti mobili troverai. Forse era già tutto scritto lì, in quello spot-tormentone che negli anni ‘80 rimbalzava in «tutta Italia, isole comprese». Era l’età dell’oro (più o meno) del mobilificio di Biella e nessuno, nemmeno il televenditore Guido Angeli e cioè la voce dell’altro ineffabile slogan provare per credere, poteva immaginare che quell’invito a fiondarsi da Aiazzone, tre lustri dopo, sarebbe stato preso molto più che alla lettera. Soprattutto dopo un fallimento-truffa con migliaia di clienti e dipendenti finiti sul lastrico. O ancora in attesa dei mobili per i quali avevano già versato una caparra.
Alla fine quei pezzi di arredo, cucine, letti, divani, comodini, elettrodomestici, hanno deciso di venire a prenderseli da soli. Di portarli via con auto e tir. Hanno assaltato un magazzino e razziato tutto il possibile alla luce del sole. Una “banda” formata da tre o quattro persone? Macché. In 200 sono arrivati. E dopo avere scassinato cancelli e porte hanno depredato ogni cosa: persino gli impianti elettrici del capannone. Siamo a Pognano, nella pianura bergamasca. L’ex punto vendita Aiazzone è chiuso da fine febbraio – dopo il fallimento – come gli altri in tutta Italia. Il passaparola si diffonde tra martedì e mercoledì mattina. Un giro di telefonate e messaggi su facebook. I ladri-giustizieri sono ex lavoratori-creditori – per lo più corrieri, molti sono immigrati – , clienti truffati, uomini, donne, famiglie con bambini. C’è anche qualche imbucato. Nel tardo pomeriggio di mercoledì si ritrovano in 200 all’esterno dell’ex punto vendita. La maggior parte abita nella zona.
Forzano gli ingressi del grande magazzino. Inizia la caccia al mobile. C’è chi è arrivato con la propria auto e si accontenta di caricare qualche sedia. Tutta la roba è accatastata in attesa di andare all’asta. Altri sono più organizzati: si presentano coi furgoni, perfino con dei tir. I camion (i cui marchi sono coperti con dei teli) appartengono a trasportatori che facevano consegne per Aiazzone ma dopo il “buco” non hanno più visto un euro. Adesso sono tutti qui. La gente va all’assalto della merce. Porta fuori tutto quello che c’è. Dopo avere rubato i mobili qualcuno smonta pezzo per pezzo il capannone, uffici compresi. Spariscono lampade, cavi elettrici, porzioni di pavimento. Il furto di massa sarebbe filato liscio se qualcuno, insospettito da quel centinaio di mezzi parcheggiati nel piazzale di uno store chiuso da mesi, non avesse chiamato i carabinieri. Arriva una pattuglia, poi altre cinque. No, non era un rave party né un raduno dei vecchi proprietari del mobilificio. Dei 200 bucanieri (quasi)improvvisati ne vengono identificati una quarantina, quattro denunciati. Toccherà al curatore fallimentare sporgere denuncia per furto, violazione di proprietà e danneggiamento. Intanto arriva la solidarietà del segretario del Partito della Rifondazione Comunista, Paolo Ferrero: «Svuotando il magazzino hanno cercato di ripristinare la giustizia, a chi è in difficoltà metteremo a disposizione dei legali».
Parte della merce è stata abbandonata nel piazzale dopo l’intervento dei militari. Si saprà poi che i furti andavano avanti da un mese. Che la catena del cancello era già stata tagliata. Ieri è scattato l’effetto emulazione: in dieci hanno provato di nuovo a arraffare mobili. Ad attenderli hanno trovato i carabinieri che stavano inventariando il materiale rubato mercoledì.
Related Articles
Un orizzonte sovranazionale per rompere la trappola del debito
Le politiche di austerity tendono a occultare la natura violenta del rapporto tra capitale e lavoro
Misure di emergenza. Il Garante blocca lo sciopero femminista globale
Per la prima volta stop ad un «generale nazionale» Non una di meno: non rinunceremo alla piazza. Usb revoca tra le polemiche «Il virus è la dittatura del mercato»
Chiara Saraceno : L’Italia è più disuguale degli altri
Intervista. Per la sociologa Chiara Saraceno il nostro paese soffre di disparità multiple sotto il profilo del reddito, della ricchezza, del territorio, del sesso e dell’origine familiare. E come se non bastasse non c’è mobilità sociale