by Editore | 6 Giugno 2011 6:37
ROMA – Fiat, Confindustria e il sempre più difficile scontro sul peso dei contratti nazionali e aziendali. La polemica, già nell’aria da tempo, è pronta ad esplodere e la via d’uscita che sabato scorso l’associazione delle imprese ha provato ad indicare non ha fatto che gettare benzina sul fuoco, suscitando dure reazioni nell’opposizione e nel sindacato.
Si sa che Sergio Marchionne – amministratore delegato di Fiat e Chrysler – per far pesare la valenza del contratto aziendale (debuttato nella newco di Pomigliano) su quello nazionale, sta pensando di uscire da Confindustria. Alberto Bombassei, vicepresidente degli industriali ha provato a trovare una «quadra», ma il suo intervento invece che placare ha alzato il tiro delle proteste. Fiat può stare il Confindustria, ha affermato, «pur avendo un contratto sostitutivo rispetto al contratto nazionale di lavoro». Bombassei si è detto pronto a definire in proposito «un accordo con le organizzazioni sindacali che possa poi essere recepito dal legislatore». Di fatto un’apertura alle richieste della Fiat che vorrebbe che i contratti stipulati a maggioranza siano vincolanti per tutti.
Ma la posizione di Confindustria non è piaciuta affatto al Pd. «Bombassei cerca di tenere assieme capra e cavoli» ha detto Cesare Damiano, capogruppo in Commissione Lavoro. «Una simile innovazione rappresenta uno strappo con la situazione esistente: è giunto il momento di tentare la strada di una nuova regolazione delle relazioni industriali , altrimenti, procedendo per strappi successivi, si andrà verso la balcanizzazione e verso il depotenziamento della rappresentatività delle grandi associazioni d’interesse, siano esse a tutela del lavoro che dell’impresa».
Dura reazione anche dell’Italia dei Valori : «Dire oggi che gli accordi aziendali possono sostituire i contratti nazionali è pura demagogia – ha detto il responsabile per il lavoro Maurizio Zipppni – perché il numero di aziende che dal 2009 hanno fatto accordi è pari al 2 per cento. Ciò significa che Bombassei ambisce a rappresentare il 2 per cento delle imprese». Quella espressa dal vicepresidente di Confindustria è «un’idea sbagliata» anche per la Cgil. «Noi continuiamo a pensare che il contratto nazionale sia il punto di riferimento generale per le tutele e che bisogna poi incrementare la contrattazione di secondo livello per le questioni specifiche – ha detto la leader Susanna Camusso – Se passa l’idea che ci sia una legge sulle modalità di contrattazione spero che poi il vicepresidente raccolga le firme per sciogliere Confindustria perché non si capirebbe più quale senso avrebbero le rappresentanze delle parti sociali».
La partita è fondamentale, anche perché la questione dei contratti si sposa a quella sulla necessità di «pesare» la rappresentanza sindacale, tema sul quale la stessa Confindustria chiede una legge. Ma l’associazione è tesa ad ottenere anche la riforma fiscale. Per dare maggiore peso alla richiesta gli industriali hanno messo nero su bianco i numeri dello «svantaggio» rispetto agli altri paesi europei. Da uno studio in collaborazione con Deloitte risulta che, per una società per azioni «l’imposizione fiscale in Italia è del 58 per cento, contro il 43 della Germania, il 40 del Regno Unito e il 29 della Spagna». Peggio di noi solo la Francia (60 per cento).
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2011/06/strappo-sul-contratto-nazionale-confindustria-nella-bufera/
Copyright ©2024 Diritti Globali unless otherwise noted.