by Editore | 25 Giugno 2011 8:18
MILANO – La croce sulle banche italiane. Avviene talmente spesso che i loro prezzi borsistici sono tornati indietro a metà 2009, prima del Grande rally dei mercati. Malgrado un certo recupero pomeridiano, Unicredit ha perso 5,5%, Intesa Sanpaolo il 4,2%, Mediobanca il 4%, Mps il 2,4%, Banco popolare il 2,7%, Popolare di Milano il 2%. Più lieve il calo di Ubi (-1%), che in chiusura ha reso noto che la ricapitalizzazione da un miliardo è stata sottoscritta dal 92,3% dei suoi azionisti.
Gli istituti, che affollano Piazza Affari, hanno salutato nel peggiore dei modi la nomina di Mario Draghi alla Bce. Verso mezzogiorno, ora dell’annuncio ufficiale, un fuoco ribassista ha portato in pochi minuti alla sospensione al ribasso Unicredit, Intesa Sanpaolo e Monte dei Paschi. Seguiva mezzora di vendite paniche, in cui tutti gli investitori sull’Italia hanno telefonato a tutte le sale operative chiedendo spiegazioni. Ne hanno avute tante, ma a fine seduta – l’indice Ftse Mib ha perso l’1,61%, e l’All Share l’1,47%, contro le chiusure frazionali degli indici europei – nessuno ha bene afferrato la verità .
Sono state scomodate le dichiarazioni del membro della Bce José Manuel Gonzalez-Paramo, per cui la crisi dei debiti periferici europei «è tutt’altro che finita»; brutte sorprese sugli stress test patrimoniali dei cinque istituti italiani coinvolti, in uscita a metà luglio (tesi smorzata da fonti bancarie); il possibile declassamento dei rating bancari anche da parte dell’agenzia S&P, come giovedì ha fatto Moody’s (che ieri ha messo sotto osservazione anche i covered bond di Cdp, Intesa, Mps, Carige e Banco Popolare), dopo che entrambe hanno già messo sotto esame per un ribasso il rating sovrano dell’Italia; le manovre degli speculatori stranieri, che vedono prossimo l’attacco dei mercati all’Italia; i timori che voto del Parlamento greco sull’austerity faccia saltare il piano di aiuti, e con esso il debito sovrano di Atene. Ultimo, ma non ultimo, il filone “tecnologico”: un massiccio ordine automatico di vendita, scattato quando alcuni titoli – si cita soprattutto Unicredit, su cui tornano correlati timori sulla terza ricapitalizzazione in tre anni – hanno violato soglie al ribasso, immesso mentre i book erano vuoti e che quindi ha squassato i prezzi. Su questa ipotesi indaga la Consob, che tuttavia ha fatto sapere che difficilmente simili ordini automatici generano oscillazioni così ampie. Un investitore straniero ha riassunto la situazione: «Liquidità : zero. Tolleranza al rischio: zero. Sensibilità dei venditori al livello dei prezzi: quasi zero. Ci salverà Wall Street?». A New York l’indice marcia in calo dell’1% e già si spera in una nuova iniezione di liquidità della Fed – la terza – per sostenere gli scambi.
Forse il malessere di Piazza Affari, che ha chiuso l’ottava settimana in rosso e perde il 5% da gennaio, è un misto di tutte le voci. Cui aggiungere due elementi di fragilità . Uno riguarda il margine tra il Bund tedesco e il Btp, che i mesi passati era sotto controllo ma è in un crescendo ieri giunto a 212 punti base, il massimo dall’introduzione dell’euro. L’altro, valido tutti i giorni dalla primavera al prossimo autunno, riguarda gli aumenti di capitale per adeguarsi a Basilea 3. Conclusi da Banco Popolare, Intesa, Ubi, in corso per Mps e in arrivo (con esiti incerti) su Bpm. Un invito a nozze per ribassisti incalliti.
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