by Sergio Segio | 6 Giugno 2011 10:44
da Wadi Khaled, confine siro-libanese
Si tengono per mano Hamza e Ibrahim, due bambini di sei anni, mentre attraversano il confine che dalla Siria li porterà in Libano. ”Qui almeno non ci saranno i soldati cattivi”, racconta Hamza appena arrivato a Wadi Khaled, città al nord del Libano nella povera regione di Akkar. Iniziano a rincorrere un pallone assieme agli altri ragazzini anche loro rifugiatasi qui in Libano per scampare i colpi di artiglieria, le bombe di quei soldati cattivi.
La madre di Hamza porta con se due grandi ceste con delle coperte e dei ricambi per i suoi tre bambini, tutti di un’età compresa tra i quattro e i sette anni. ”La notte puo essere fredda per chi non ha una casa”, racconta, tirando un sospiro di sollievo per i suoi figli mentre le lacrime le bagnano il volto quando le si chiede di suo marito: ”Non ho piu notizie di lui da due settimane per questo ho deciso di scappare e mettere al sicuro i miei bambini”, dice.
Ha tanta voglia di raccontare la madre di Hamza, raccontare l’inferno che ha vissuto lei e il popolo siriano. ”Non avrei mai pensato di dover lasciare un giorno la mia casa. Sai, l’aveva costruita mio marito in tre anni lavorando tutto il giorno”.
”La situazione in Siria é invivibile. Anche se siamo chiusi in casa i soldati arrivano e distruggono tutto. Ci chiamano sionisti, ci chiamano traditori della patria mentre portano via qualche membro della famiglia, a volte anche i bambini”.
Si fa forza Umm Hamza mentre le altre donne si avvicinano offrendole del tè e dell’ acqua. ”Potrai venire da noi, abbiamo trovato qualcuno che ci ospita nel suo magazzino. Ci sarà posto per te e i tuoi bambini”, la rassicura Samira, una donna di quarant’anni.
Secondo alcuni dati forniti dalla municipalità di Wadi al Khaled sono circa 3mila i rifugiati siriani in questo piccolo villaggio alla frontiera mentre la cifra dei rifugiati al nord del Libano secondo alcuni dati di associazioni per i diritti umani arriverebbero a 15mila.
”Molti di loro – racconta Sonia, un’attivista per i diritti umani – fa la spola quotidianamente tra Wadi al Khaled e la loro casa al confine siriano per prendere ricambi di vestiti e per accertarsi che la loro casa non sia stata distrutta. E’ una situazione surreale”, aggiunge.
Abu Walid calorosamente ci invita nella sua casa a prendere un tè e parlare senza essere osservati dai servizi segreti siriani che secondo i cittadini di Wadi al Khaled sono tantissimi in questi giorni.
”Sono arrivato qui una settimana fa perché mia figlia Leila, era stata ferita durante degli scontri a fuoco. Ho avuto paura di portarla in un ospedale siriano perché molti feriti hanno ricevuto delle minacce dai soldati. L’ho portata qui, in questa cittadina e ho avuto la fortuna di poterla curare”. E’ sul letto Laila mentre ascolta le parole del padre. Leila ha solo cinque anni e non potrà mai piu camminare perché per salvarle la vita le hanno dovuto amputare una gamba.
Le storie e le lacrime della gente si susseguono interrottamente. Ognuna di queste persone ha una storia da raccontare, una storia fatta di repressione e di umiliazione.
”Abbiamo come la sensazione che la nostra vita non valga niente”, dice Abu Mohammad, un anziano signore di 80 anni, ”abbiamo perso tutto incluso la nostra dignità ”.
Aspettano i rifugiati siriani, aspettano sperando che un giorno possano tornare in una Siria dove la loro vita valga e dove la loro dignità gli possa essere restituita. ”Inshallah”, dice Yusef, mentre guarda all’orizzonte.
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