Siria, Assad non si piega “Complotto contro di noi nessun accordo con i sabotatori”
BEIRUT – Nessun accordo è possibile con i «sabotatori» e i «banditi armati», che sfruttano per i loro fini la buona fede dei siriani, ma, con gli altri, i dimostranti che «avanzano richieste legittime», il «dialogo nazionale» non soltanto s’intensificherà , ma produrrà le tanto auspicate riforme in pochi mesi. Nel frattempo, i cittadini del Nord della Siria, che sono fuggiti (oltre diecimila), o stanno cercando di fuggire (altri diecimila) nella vicina Turchia possono tornare a casa, perché non è vero, come dicono i media, che l’esercito è stato mandato lì per tagliare loro la strada della salvezza, o per vendicarsi delle violenze esplose a Jisr al Shugur, ma «per proteggerli». Parola di Bashar el Assad.
E’ apparso teso e stanco, il quarantacinquenne presidente siriano, durante il discorso di un’ora e 20 minuti – il terzo da quando è esplosa la protesta, a metà marzo – fatto ieri davanti ad una folla di invitati dall’ovazione facile, nell’aula magna dell’Università di Damasco. I distillatori più attenti del verbo del leader siriano hanno colto alcune differenze degne di nota rispetto ai precedenti interventi, ma non una vera svolta, una proposta coraggiosa e dirompente, diretta a soddisfare se non tutte, almeno in parte, le richieste avanzate dai dimostranti. La risposta degli oppositori, di conseguenza, si può riassumere così: proposta non ricevibile. Manifestazioni, seppur di portata limitata, si sono avute ad Homs, Latakia, Aleppo e in qualche quartiere di Damasco con slogan di scorno spesso trascendenti nell’insulto («Bugiardo! Bugiardo»).
In sostanza, neanche stavolta Bashar el Assad ha potuto fare a meno di evocare la teoria del complotto contro la Siria. Un complotto fomentato da oscuri ambienti internazionali e gestito sul terreno da una minoranza di «sabotatori» che hanno sequestrato per i loro loschi fini le legittime richieste della gente. I quali sabotatori, assicura il presidente siriano, sarebbero in possesso di armi e mezzi (di telefonia) ultra moderni.
Tuttavia, stavolta, contrariamente ai precedenti discorsi, Assad non si è nascosto la profondità della crisi e le sue implicazioni più gravi (tra cui ha citato il rischio che il sistema economico crolli). E poiché in gioco è il futuro della Siria, ecco allora la necessità di seguire la via delle riforme e del «dialogo nazionale». Dialogo che dovrà realizzarsi nell’ambito di un comitato di oltre cento persone, di cui s’ignora chi sarà chiamato a far parte, che avranno il compito di valutare e raccomandare al nuovo parlamento che dovrebbe essere eletto in agosto le proposte per cambiare il sistema politico e la stessa costituzione. E’ del tutto evidente che Assad si propone come l’unica fonte istituzionale in grado di garantire e portare a compimento questo cambiamento epocale.
Ma l’enfasi con cui Assad ha un po’ semplicisticamente descritto la sua «road map» verso una nuova Siria, contrasta fortemente con le critiche dei dissidenti. Uno di questi oppositori, il difensore dei diritti umani Walid al Bunni, liberato poche settimane fa dopo cinque anni di carcere, ha quasi schernito il discorso: «Il regime – ha detto – chiama sabotatori i dimostranti, ma non ha ancora realizzato che in Siria è in corso una rivolta popolare per la libertà e la dignità della persona». Anche quegli osservatori disposti ad entrare nel merito delle proposte di Assad, come l’analista libanese Osama Safa, hanno finito con il dare un giudizio del discorso che equivale ad una bocciatura: «Troppo poco e troppo tardi». La rivoluzione, in sintesi, continuerà , fanno sapere i dimostranti.
«Delusione» anche a livello internazionale. Le parole di Assad hanno convinto l’Unione Europea a cercare un inasprimento delle sanzioni contro il regime con l’obbiettivo di realizzare un cambiamento al vertice.
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