Sì alle nozze gay, festa al Village “Così apriamo la strada al mondo”

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NEW YORK – «Hai dato l’esempio all’America, New York sei grande, New York sei generosa, ci hai reso giustizia, hai mostrato la strada al mondo intero». È raggiante Dan Bensing, 46 anni. È venuto qui dalla Virginia, insieme col suo compagno Bill Mc Kenney, 50 anni, per assistere a una conquista storica. Sono al Greenwich Village, posano per la foto-ricordo davanti allo Stonewall Inn. Un piccolo edificio di mattoni rossi, al numero 53 della Christopher Street, luogo storico per la memoria gay. È qui che 42 anni fa, il 28 giugno 1969, divampò la prima rivolta della comunità  omosessuale newyorchese: dopo l’ennesimo raid della polizia in questo piccolo albergo-ristorante-night i gay trovarono il coraggio di reagire, risposero con la forza agli agenti, quella notte di scontri mise a fuoco il quartiere e segnò la nascita di un movimento per i diritti civili degli omosessuali. «Io e Bill stiamo insieme da 15 anni e ora finalmente New York ci ha detto quello che meritavamo di sentire: la nostra unione ha lo stesso valore e la stessa dignità  di quella fra un uomo e una donna». 
L’enorme portata del voto di venerdì sera al Senato di Albany, la capitale dello Stato di New York, è scolpita nella reazione dell’arcivescovo Timothy Dolan: «Questa legge che consente di sposare due persone dello stesso sesso altera radicalmente e definitivamente la concezione storica che l’umanità  ha avuto del matrimonio». Parole che per lui sono di condanna, per i gay che sfilano gioiosi qui al Village sono la sanzione di un trionfo atteso da generazioni. Arrivano in pellegrinaggio, è una sfilata continua, si fermano davanti alle vecchie finestre dello Stonewall Inn: dietro i vetri c’è un vestito di bambola dell’Ottocento, le locandine che pubblicizzano serate bingo-karaoke, “Lesbo a Go-Go”, concerti rock. 
Venerdì sera qui una folla ha assistito in diretta sui teleschermi alle votazioni del Senato, un tifo trepidante, fino al boato di liberazione. Poi è stato il Carnevale di Rio, una piazza traboccante di felicità , si urlava «I do!» (è il “sì” che si pronuncia sull’altare), si abbracciavano e baciavano sconosciuti, le bandiere arcobaleno sventolavano da tutte le finestre del quartiere, amplificatori improvvisati mandavano a tutto volume la canzone del Mago di Oz, “Somewhere over the rainbow”, la musica dell’arcobaleno. C’era una decana del movimento delle lesbiche, Jean Rowe, 79 anni, con la compagna di 82: «Abbiamo costruito una famiglia vera, abbiamo vissuto per 48 anni insieme, con lo stesso senso morale di tante coppie etero, oggi sappiamo che potremo morire da sposate». 
Incontro un testimone diretto dei fatti del ‘69, è il manager dello Stonewall Inn, Shawn Curran, un gigante con una camicia hawaiana a fiori arancioni: «Me la ricordo la violenza di quella sera, l’eruzione di una rivolta che ci covava dentro dopo una vita di vessazioni e umiliazioni. E’ cambiato il mondo, New York ha aperto la strada, sono felice per i nostri ragazzi, ci sono due giovani lesbiche che lavorano con me e hanno già  pronti gli anelli per sposarsi. Io sono un veterano ma ieri ho avuto la gola stretta dall’emozione. Se muoio, i familiari del mio compagno di vita non potranno più cancellare il ricordo del nostro amore». Ha detto il regista di questo straordinario cambiamento, il governatore democratico Andrew Cuomo: «È una conquista che deve valere per tutta l’America, New York ha raggiunto un nuovo livello di giustizia». È stato decisivo proprio lui, il cattolico praticante italo-americano che ha osato sfidare la Chiesa. Ha rovesciato il verdetto del 2009, in soli due anni il Parlamento di questo Stato è passato da una maggioranza di no alla vittoria dei sì. È il sesto Stato a legalizzare i matrimoni gay ma di gran lunga il più importante, un laboratorio di avanguardia. Ha vinto Cuomo con una mossa segreta: chiamando a raccolta Wall Street, miliardari repubblicani come Paul Singer che ha un figlio gay, a loro ha chiesto di “finanziare” il coraggio di quattro senatori repubblicani transfughi. Una mossa spregiudicata, resa possibile dalla rapida evoluzione del costume. Barack Obama è stato qui a Manhattan 24 ore prima del voto, a una cena di raccolta fondi tra i Vip della comunità  gay: il presidente che finora era rimasto cauto ha detto che il suo «pensiero sui matrimoni gay si sta evolvendo». Ancora nel 2004 erano solo il 34% i newyorchesi favorevoli ai matrimoni omosessuali. In quell’anno la fuga in avanti di San Francisco ebbe un effetto-boomerang: gli eccessi radicali della West Coast aiutarono George Bush a farsi rieleggere mobilitando i cristiani conservatori. Cuomo ha dato garanzie a tutte le chiese, nella legge c’è l’obiezione di coscienza, i sacerdoti non saranno obbligati a celebrare le nozze. E oggi a favore dei matrimoni gay è il 58% dei newyorchesi. Il sindaco Michael Bloomberg, anche lui favorevole, comincerà  a celebrarli fra 30 giorni. Oggi la giornata del Gay Pride vedrà  una folla ancora più sterminata qui al Greenwich Village. L’Empire State Building l’ha attesa tutta notte, illuminandosi di arcobaleno.


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