Se la nostra storia è fondata sul dolore

by Editore | 2 Giugno 2011 7:03

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Faremo la fine di Funes el memorioso, quel personaggio di Borges dalla memoria miracolosa, che nulla riesce a dimenticare sconfinando nella perfetta idiozia? Si potrebbe sospettarlo a leggere la sterminata sfilza di leggi memoriali che il Parlamento italiano ha approvato (o proposto) nell’ultimo decennio. Un alacre memorialificio dietro cui si nasconde una classe politica sostanzialmente distratta e facile ad amnesie, talvolta determinata a riscrivere la storia repubblicana allungando il controllo politico sui manuali di storia (prima Storace, più di recente la pdl Carlucci) e impoverendo l’ultima roccaforte della tradizione culturale che è la scuola pubblica.

Fa impressione l’elenco suggerito da Giovanni De Luna nel suo ultimo La Repubblica del dolore (Feltrinelli, pagg. 204, euro 15), un saggio che prova a far ordine in quella materia incandescente del rapporto tra storia e memoria, sentimento privato e calendario pubblico. C’è il giorno della Shoah e quello delle foibe. Ecco il muro di Berlino, poi le vittime del terrorismo e i caduti nelle missioni di pace. Ed ancora i marinai scomparsi in mare, le vittime africane dell’occupazione coloniale, le vittime dell’odio politico, le vittime della criminalità , i caduti nei gulag, le vittime delle tragedie procurate dall’incuria dell’uomo, i martiri della libertà  religiosa. Provvedimenti che nascono da una buona intenzione, quella di risarcire morti anonime che non hanno avuto riconoscimenti dallo Stato. Ma il rischio paventato da De Luna è che la nuova memoria pubblica sia fondata sul paradigma vittimario. E che nel nuovo Pantheon del lutto e dell’emozione la figura della “vittima” prenda il posto degli eroi del Risorgimento e della Resistenza. Quella che rischia di affiorare da queste giornate del ricordo è una «comunità  ferita», incline «a rituali di espiazione e riparazione», che modella la propria identità  «sull’immagine della Mater dolorosa» piuttosto che su quella di una collettività  lucida nello scegliere il proprio albero genealogico. Da qui quella «Repubblica del dolore» che nella ricostruzione dello storico appare consonante alla società  dello spettacolo, fondata sull’uso strumentale di rancore e devastazione, di perdono e vendetta. Il sacrificio e la perdita diventano l’unico fattore unificante di una memoria condivisa. Una base emotiva troppo friabile – liquida lo studioso – per costruirvi sopra un nuovo patto della memoria.
L’operosa officina del ricordo non è un fenomeno radicato solo in Italia. Tra gli aspetti più interessanti del libro è la ricognizione di quel che accade in Europa, dalla Spagna alla Francia, dalla Svizzera alla Russia. Ne emerge una macchina legislativa in continuo fermento, non solo per sollecitare il ricordo ma anche per controllare la ricerca storica, suscitando la reazione degli historiens. Il fenomeno viene ricondotto da De Luna alla deflagrazione delle memorie ufficiali sul finire del secolo scorso in tutto il Continente: a Est, con l’esplodere dei nazionalismi sulle macerie del comunismo; a Ovest con la rivincita di memorie particolaristiche contro quella proposta da uno Stato nazionale sempre più debole. Le leggi della memoria nate in questo nuovo secolo vengono interpretate come il tentativo da parte dello Stato di recuperare il terreno perduto. Tentativo che però rivela la sua debolezza più che la sua potenza.
In Italia il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica ha travolto i principali artefici della memoria pubblica, ossia i partiti politici che avevano dato vita alla democrazia e quindi a quel patto che è fondativo delle memorie nazionali: un accordo su cosa della storia passata sia opportuno lasciar cadere o trattenere. «La crisi della sovranità  dello Stato nazionale», scrive De Luna, «in Italia si è sommata agli effetti della rottura nel nostro sistema politico tra il 1992 e il 1994». Ne è derivata una sorta di cortocircuito tra politica, memoria e storia, dal momento che si è trattato «non solo di ricostruire un nuovo assetto politico-costituzionale, ma anche di porre mano alla ridefinizione di gran parte degli elementi di quel patto sul quale dal 1946 s’era fondata la nostra memoria ufficiale». Tra neorevisionismi, nuove mitologie fuorvianti, improvvide parificazioni (è di ieri una proposta di legge targata Pdl per l’equiparazione di partigiani e repubblichini), il disegno è stato quello di demolire la tradizione storica repubblicana, affiancato nell’ultimo decennio dalla bulimia del ricordo. Ma in questo profluvio memoriale, il grande assente rischia di essere proprio un lucido rapporto con il passato. Sfortunato il Paese che ricorda per legge, dimenticando nel resto dell’anno.

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