Rivoluzione rosa nelle aziende donne obbligatorie nei cda

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ROMA – Le quote rosa sono legge: le società  quotate in Borsa e quelle a partecipazione pubblica dovranno far spazio, nei loro vertici, alle donne. Più che una spontanea apertura al femminile, quindi, si tratterà  di un obbligo: i consigli di amministrazioni e gli organismi di controllo delle due tipologie d’impresa dovranno essere composti, a partire dal 2012, da un quinto di donne (il 20 per cento). Ma dal 2015, con il nuovo mandato, la presenza femminile dovrà  salire ad un terzo (33,3 per cento).
Trattandosi di legge, il mancato rispetto sarà  punito: prima con un semplice richiamo, poi con una sanzione pecuniaria, infine con la decadenza del cda o dell’organismo di controllo. O meglio: se le quote non saranno rispettate la Consob invierà  una diffida alla società  chiedendo di mettersi in regola entro quattro mesi. Se l’azienda persisterà  nel suo comportamento, scatterà  un’ulteriore avvertimento a tre mesi e l’obbligo di pagare una multa che potrà  andare dai 100 mila a 1 milione di euro per i cda e dai 20 mila ai 200 mila euro per i collegi sindacali. Ma se, nonostante i ripetuti interventi, le femmine resteranno ancora senza la quota minima di poltrone, dopo sette mesi scatterà  la decadenza del cda o dell’organismo di controllo stesso.
La legge è stata varata ieri, in via definitiva, dalla Camera con un voto bipartisan: 438 sì, 27 no e 64 astenuti. Le nuove norme, entreranno i vigore ad un anno esatto dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ma per via delle naturali scadenze dei mandati, saranno a pieno regime nel 2015. Nel frattempo hanno prodotto molta soddisfazione e qualche nota polemica.
L’idea di ottenere un riconoscimento al lavoro femminile attraverso il meccanismo delle quote non è infatti mai piaciuta ai radicali: ieri i loro sei deputati sono stati fra i 46 astenuti, ma a votare «no» sono stati anche alcuni rappresentanti della maggioranza e dell’opposizione, sia maschi che femmine. «E’ una legge contraria al rispetto del diritto civile e delle istituzioni» ha detto Fabio Garagnani del Pdl. Ma anche da sinistra è arrivata qualche critica: «Non c’è niente di peggio delle quote. Lo dico io che sono abituata ad essere una quota per definizione, vorrei che le donne arrivassero ai vertici per quello che valgono, non perché rientrano in quote» ha commentato Ileana Argentin deputata del Pd donna e disabile.
Ma di gran lunga è prevalsa la soddisfazione e la sensazione di aver varcato una soglia importante: «La decisione è di portata storica» ha detto il ministro delle Pari opportunità  Mara Carfagna; «un passo avanti che fa onore al Parlamento» ha commentato la collega dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo. Stesso entusiasmo per l’opposizione: dal capogruppo del Pd Dario Franceschini, secondo il quale «la norma colma un ritardo storico e ci porta più vicini all’Europa», a Rosy Bindi. «Qualcosa si muove – ha detto – ora vigileremo sull’attuazione». La più soddisfatta di tutti è stata Lella Golfo, parlamentare del Pdl, prima firmataria del testo approvato: «Questa legge – ha detto – è un passaggio importante che riguarda le donne fortunate, perché già  in possesso dell’ esperienza e dei requisiti necessari per entrare nei cda, ma anche quelle meno fortunate, perché le norme possono creare un circolo virtuoso e fare da traino».
Ora, incassato il risultato per le società  quotate e quelle partecipate molto resta da fare, specialmente per quanto riguarda la politica: anche qui la tendenza è bipartisan. «Diamo il buon esempio: bilanciamo la composizione per sesso anche per l’ufficio di presidenza e del collegio dei questori della Camera» ha chiesto Alessandra Mussolini, Pdl, definendosi «al di là  delle quote rosa». «Ora la politica ha meno alibi – ha detto Anna Finocchiaro del Pd – è chiaro che il prossimo passo è portare più donne in Parlamento».


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