Risparmio energetico decisivo per il futuro

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 Quanto al nucleare, beati i tedeschi e gli svizzeri i cui governi hanno sottratto alla tanto bistrattata emotività  dell’opinione pubblica l’onere della scelta, decidendo, senza bisogno di referendum, una marcia indietro su tutta la linea. In proposito, peraltro, è utile sottolineare che quei paesi fecero una scelta nucleare allorquando i costi di quel tipo di produzione dell’energia elettrica erano nettamente competitivi con le altre fonti. Oggi quelle centrali si avviano al compimento del loro ciclo di vita (alcune lo hanno già  sorpassato) ma affrontare un piano per sostituirle comporterebbe una spesa enorme. Secondo un recente rapporto del Massachussets Istitute of Technology, dal 2003 in poi i costi stimati per la costruzione di un impianto nucleare sono cresciuti al tasso del 15% annuo che negli ultimi cinque anni è addirittura raddoppiato. Di conseguenza le industrie private, che un tempo vantavano nel settore la loro autosufficienza, richiedono oggi indispensabili sostegni pubblici. Infine l’aumento dei costi è destinato a incrementarsi ancora, non tanto per i problemi connessi al combustibile e alla produzione, quanto alle spese crescenti per adeguarsi a più avanzati criteri di sicurezza (peraltro mai assoluta), allo smaltimento delle scorie radioattive e allo smantellamento degli impianti dismessi.

Di fronte a un simile stato dell’arte dovrebbe essere considerata una fortuna l’uscita dell’Italia dal settore fin dal disastro di Cernobyl, il che ci permetterebbe oggi un ripensamento globale della politica energetica, riconsiderando alcune priorità  recepite con troppa faciloneria. In particolare mi riferisco all’enfasi con cui alcune organizzazioni ambientaliste, sia lo stesso governo, elargendo gli incentivi pubblici più alti al mondo, hanno rappresentato come alternativa unica al nucleare l’incremento delle fonti alternative (eolico e fotovoltaico). In realtà  il costo di queste tecnologie e le dimensioni finanziarie del sostegno pubblico (in bolletta o per altra strada), come anche le limitazioni all’utilizzo (quando non c’è vento o di notte, quando non c’è sole) dovrebbero consigliarne una utile da non trascurare ma in dimensioni ragionevolmente minori di quanto oggi sbandierato. Viceversa andrebbe affrontata con grande impegno una pianificazione mirante alla efficienza energetica, non solo per gli effetti ecologici ma come volà no di sviluppo industriale. Per quanto riguarda il primo punto un dossier degli Amici della Terra (l’organizzazione che si è più impegnata su questo settore) rileva che l’Agenzia internazionale dell’Energia prevede la possibilità  per il 2050 di ridurre le emissioni di Co2 del 53% grazie a misure di efficienza energetica (mentre le fonti rinnovabili darebbero il 21% e l’atomo il 6%). Ancor più convincente il piano presentato dalla Confindustria, introdotto dalla Marcegaglia con queste parole: “L’efficienza energetica è il pilastro portante della green economy”. Esso propugna lo sviluppo di prodotti di nuova tecnologia ad alto risparmio energetico, anche in rapporto a idrocarburi e carbone nei settori dell’illuminazione, dei trasporti, nelle pompe di calore, negli elettrodomestici, nell’edilizia residenziale, nei motori elettrici, nelle caldaie, ecc. Insomma il risparmio, o efficienza energetica che dir si voglia, implica un balzo in avanti di tutta l’economia italiana a costi minori e con calo netto dell’inquinamento. Finora il governo si è comportato come se significasse: “Spegnete la luce quando uscite di casa!”.


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