Risparmio di 10 miliardi entro il 2020 con il rinvio dell’uscita dal lavoro
ROMA – Parità tra uomo e donna nell’accesso alla pensione di vecchiaia: 65 anni per entrambi. È l’ipotesi hard sulla quale stanno lavorando i tecnici della Ragioneria. Un’ipotesi ad alto rischio sociale, ma molto “appetitosa” sul piano finanziario. Perché l’aumento dell’età pensionabile delle donne (attualmente è fissata a 60 anni contro i 65 per gli uomini) farebbe risparmiare ogni anno circa un miliardo di euro. Fino a dieci miliardi, dunque, dal 2012 al 2020. Una misura strutturale con effetti molto consistenti sul bilancio statale. Ma difficile da percorre dal punto di vista politico in una fase in cui il consenso nei confronti del governo sta progressivamente calando. C’è uno scarto dunque tra le analisi degli uomini della Ragioneria e la cautela politica con la quale intendono muoversi sia il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, sia quello dell’Economia, Giulio Tremonti, molto sensibile in questi tempi a non incrinare il suo rapporto con i sindacati. Di certo, però, sulle loro scrivanie, quella proposta c’è.
La possibilità di equiparare l’età pensionabile di uomini e donne era già stata presa in considerazione due anni fa, quando il governo fu costretto (pena il pagamento di una grossa multa per inadempienza) a rispettare una sentenza della Corte di Giustizia europea che stabiliva, secondo il principio di non discriminazione, lo stesso trattamento tra uomini e donne.
Il governo ha così portato da quest’anno a 61 anni l’età necessaria, anche per le donne del pubblico impiego, per poter ottenere la pensione di vecchiaia. E con un salto di quattro anni, nel 2012 l’età salirà a 65. A regime si otterrà un risparmio di tre miliardi e 950 mila euro.
Con il provvedimento per le dipendenti del pubblico impiego si decise anche di destinare le risorse risparmiate a favore delle politiche familiari, per conciliare, in particolare, la vita lavorativa e familiare delle donne. Così, però, non è stato. I primi risparmi (120 milioni nel 2010) sono finiti nel Fondo strategico per il paese a sostegno dell’economia reale. Insomma non si sa a cosa siano effettivamente serviti, ma sicuramente non per le donne. Il vicepresidente della Camera, Emma Bonino (favorevole all’innalzamento dell’età ), ha parlato di un «furto insopportabile».
L’aumento dell’età per le donne potrebbe aver un effetto perverso. Basta guardare alcune tabelle dell’ultimo Rapporto dell’Inps, dove emerge che la stragrande maggioranza (circa il 75 per cento) delle pensioni di anzianità (quella che si possono ottenere prima dell’età di vecchiaia) va agli uomini, il resto alle donne. Le quali, già ora, accedono alla pensione prevalentemente attraverso la vecchiaia (sono circa il 70 per cento del totale) a causa di vuoti contributivi dovuta alla discontinuità lavorativa. Perché una quota significativa di donne è costretta ad abbandonare il lavoro quando diventa mamma e prova negli anni successivi a trovarne un altro. L’innalzamento dell’età finirebbe per danneggiare ulteriormente la condizione della donna nel mercato del lavoro. Un esempio: dal 2013, quando scatterà “quota 97” come somma tra età e contributi, gli uomini (che in media hanno più versamenti) potrebbero andare in quiescenza con 62 anni e le donne mediamente con 65. Sono anche questi i dubbi del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che da sempre si è schierato contro questa ipotesi.
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