Repubblicani, l’Old Party diventa arcobaleno

by Editore | 15 Giugno 2011 8:19

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NEW YORK – “L’effetto Obama” trasfigura visibilmente anche il partito repubblicano. Il dibattito televisivo di lunedì sera tra i primi sette candidati della destra alla nomination per le presidenziali del 2012 ha offerto uno spettacolo di diversità  senza precedenti: una donna e un nero tra i presidenziabili. Due novità  inaudite per un partito repubblicano che fu per generazioni il dominio dell’establishment “Wasp” cioè bianco, anglosassone, protestante (e maschio). Novità  che potrebbero arricchirsi qualora annunci la sua candidatura anche Sarah Palin (portando a due le donne) o addirittura l’ex collaboratore di Ronald Reagan, Fred Carver, ebreo e gay dichiarato (ma non ancora in lizza). Non scontata neanche la presenza di un cattolico, Rick Santorum: finora l’unico presidente degli Stati Uniti di religione cattolica è stato John Kennedy, democratico. Dopo Barack Obama, ogni barriera di pregiudizio razziale o religioso è davvero travolta anche tra i ranghi della destra?
Ma lunedì sera un altro “effetto Obama” si è visto all’opera: tutti uniti contro il presidente, per demolirlo, attaccare ogni sua riforma, svilire il bilancio della sua Amministrazione. A sorpresa i sette candidati che si sono fronteggiati al Sant Anselm College di Manchester (New Hampshire), nel dibattito organizzato dalla Cnn, hanno evitato accuratamente di accusarsi a vicenda. Risultato: una serata fortunata per Mitt Romney, che essendo finora il favorito dei sondaggi è la “lepre” da inseguire, e possibilmente da bersagliare. Il suo tallone d’Achille: quand’era governatore del Massachusettss, Romney varò una riforma sanitaria quasi identica a quella di Obama, imponendo l’assicurazione obbligatoria per tutti. Un peccato imperdonabile per la destra. “Obamneycare” l’ha battezzata il suo rivale Tim Pawlenty, ex governatore del Minnesota, fondendo in una sola parola i due cognomi Obama-Romney e “care”, salute. Ma davanti alle telecamere della Cnn Pawlenty si è tirato indietro, non ha voluto infierire sull’avversario: un autogol che ha consentito a Romney di evitare l’argomento spinoso nei confronti della destra radicale. Dopo Romney, che ha più soldi di tutti e un’organizzazione collaudata nella campagna (perdente) del 2008, la vincitrice di lunedì sera è stata la donna. Michele Bachmann, deputata del Minnesota, partiva già  da un ottimo trampolino di lancio: è con la Palin una beniamina del Tea Party, è un’antiabortista radicale, ha una bella presenza fisica, è popolarissima come ospite dei talkshow televisivi. Al dibattito Cnn ha esibito con disinvoltura “i 23 figli adottivi”, allevati col marito anche per dimenticare un’infanzia segnata dalla separazione dei suoi genitori. Molto meno bene è andata al candidato afroamericano, Herman Cain. Anche lui “lanciato” dalle tv che si erano innamorate del personaggio: l’anti-Obama per eccellenza è un imprenditore che ha fatto fortuna come chief executive della catena di ristoranti Godfather’s Pizza. Ma si è impappinato quando gli è stato chiesto di confermare quanto detto pochi giorni prima: che «da presidente imporrebbe ai musulmani il giuramento di fedeltà  alla Costituzione». «Mi riferivo solo a quei musulmani che ci vogliono uccidere», ha precisato goffamente Cain attirandosi la precisazione di Romney: «L’America è una nazione dove tutte le religioni hanno un posto». Praticamente invisibile nel confronto è stato Newt Gingrich che tutti danno per affondato: il suo intero staff elettorale si è dimesso per protesta, mentre lui passava il suo tempo in crociera con la moglie nelle isole greche invece di fare campagna. Rick Santorum e Ron Paul si sono uniti al coro generale degli attacchi contro Obama, sull’economia. «Perché l’America non dovrebbe essere capace di crescere del 5% annuo, se Cina e Brasile crescono ancora di più?». Su questo tutti d’accordo, la gestione economica di Obama è un disastro. Lo sa anche lui: per la Casa Bianca al momento nessuno dei candidati repubblicani sembra formidabile, il vero ostacolo per la rielezione è la crescita fiacca, la disoccupazione al 9%. Appena spenti i riflettori sul dibattito del New Hampshire, ai “sette nani” si è aggiunto ieri un ottavo candidato repubblicano. E’ Jon Huntsman, secondo candidato mormone dopo Romney, ex governatore dello Utah, uno Stato bene amministrato e con una crescita superiore alla media nazionale. La sua debolezza: fu proprio Obama a nominarlo ambasciatore in Cina. «Ho collaborato con il presidente, mica siamo amici», è la risposta.

 

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