“Senza riforme crescita dimezzata: 0,6%”

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ROMA – L’Italia è un paese ingolfato. Prigioniero dei suoi ritardi strutturali, delle occasioni perse, delle riforme non fatte, e anche dell’assenza di leadership. L’Italia è diventata la lumaca d’Europa. Vedono nero gli industriali italiani. Ieri sono state presentate le previsioni del Centro studi della Confindustria: nel 2011 il Pil italiano crescerà  solo dello 0,9 per cento, due decimi di punto in meno delle stime precedenti, e nel 2012 arriverà  all’1,1 per cento. Ripresina. Troppo poco per recuperare gli oltre 580 mila posti di lavoro persi dall’inizio della recessione globale, mentre la Germania si appresta a ritornare a livelli pre-crisi.
La via d’uscita si chiamano ancora riforme, liberalizzazioni, privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica improduttiva, risanamento. E allora la presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, è tornata a chiedere di fare «subito» la manovra da 40 miliardi di euro per puntare al pareggio di bilancio nel 2014. Ma servono interventi «credibili» perché altrimenti i già  bassi target di crescita dovranno essere ulteriormente dimezzati (allo 0,6 per cento) e appesantita di quasi 18 miliardi la correzione del deficit. Lacrime e sangue su un’economia in apnea. «Perché la stella dell’economia italiana – scrivono gli economisti di Viale dell’Astronomia – non sta brillando». Eppure non c’è alternativa al rigore e alla ricerca dello sviluppo. Ieri ha voluto dirlo anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: «È impegno ineludibile e urgente quello di rafforzare la sostenibilità  finanziaria del sistema Italia, attraverso un incisivo abbattimento del debito pubblico nel quadro delle direttive e delle procedure concordate in sede europea». «Siamo d’accordo con Napolitano», ha chiosato la Marcegaglia.
Il quadro è serissimo. La sintesi sta a pagina 12 del rapporto del Centro studi: «Incidono negativamente sulla crescita italiana dei prossimi trimestri la sostanziale stagnazione della domanda interna, con il potere d’acquisto delle famiglie e i margini delle imprese ridotti dagli elevati costi energetici e dagli aumenti dei tassi di interesse, il mercato del lavoro che genera ancora scarsa occupazione, il tasso di cambio sopravvalutato in termini reali che penalizza l’export italiano e, infine, le manovre di rientro nella finanza pubblica, con il governo impegnato a riportare il deficit al 2,7 per cento l’anno venturo e a stabilizzare il debito pubblico».
Le tabelle e i grafici del rapporto confindustriale aiutano a descrivere anche i cambiamenti che stanno attraversando la società  italiana. Perché la crisi consegna un altro italiano. Per esempio svanisce il luogo comune dell’italiano che risparmia. Non è più così. Gli italiani non risparmiano più e soprattutto per mantenere i livelli di spesa continuano a intaccare i risparmi. Nel 2010 il tasso di risparmio ha toccato il 6,1 per cento dal 19,5 per cento del 1993 «portandosi al di sotto di quello delle altre grandi economie europee e in linea con quello americano». «Le famiglie italiane – spiegano gli economisti – sono state caute nelle decisioni di spesa, dovendo tener conto dell’ulteriore contrazione del reddito disponile reale (dopo il -3,1 per cento nel 2009, – 0,6 per cento nel 2010) e della continua debolezza del mercato del lavoro».
Il nostro sistema produttivo farà  fatica a riassorbire i lavoratori in cassa integrazione. Il biennio 2011-2012 dovrebbe chiudersi con 453 mila persone occupate in meno rispetto al picco pre-crisi. E un tasso di disoccupazione ancora all’8,4 nel 2011 e all’8,3 l’anno successivo. Da oggi riparte il negoziato con i sindacati sulla rappresentanza. Potrebbe essere uno stimolo per accrescere la produttività  e quindi recuperare quote di mercato. Marcegaglia ha ribadito che gli industriali puntano a un accordo anche con la Cgil. Si vedrà .

 


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