“Quella centrale ci minaccia” la Micronesia sfida Praga
Niente è più universale dell’atmosfera: così, in tempi di riscaldamento globale, non importa se a intossicarci mettendo a repentaglio la nostra esistenza sia il tubo di scarico della macchina del vicino o una centrale elettrica all’altro capo del mondo. Grossomodo, è questo il ragionamento che ha ispirato l’azione legale della Micronesia contro un Paese a ben 11mila chilometri di distanza: la Repubblica Ceca. Che per soddisfare il suo fabbisogno energetico metterebbe a repentaglio la stessa sopravvivenza del piccolo arcipelago nell’Oceano Pacifico.
L’oggetto della discordia, in particolare, si chiama Prunerov-2: una centrale a carbone, per la quale ad aprile il ministero dell’Ambiente ceco non solo ha decretato l’allungamento dell’operatività fino al 2035, anziché al 2020, ma ha anche approvato il progetto di espansione che la trasformerebbe in uno degli impianti più grandi d’Europa e la più grande produttrice di emissioni del Paese. Di fatto, il ciclope ceco sputerà in un anno emissioni di CO2 40 volte superiori a quelle emesse dagli abitanti della Micronesia. I quali sono appena 100mila e, soprattutto, vivono con l’acqua alla gola. Letteralmente. Molte aree dei 600 atolli dell’arcipelago, compreso uno degli aeroporti internazionali, sono a un metro dal mare. La piccola confederazione è uno dei Paesi più esposti all’innalzamento dei mari: entro la fine del secolo rischia l’inabissamento.
Ora, difficilmente la sua salvezza dipende dalla centrale nell’Est Europa, come i legali micronesiani vorrebbero dimostrare. Ma intanto questa sfida tra Davide e Golia potrebbe stabilire un precedente cruciale nel diritto internazionale. E scatenare così un vaso di Pandora di cause legali. «La speranza di questa iniziativa – ha spiegato Maketo Robet, ministro della Giustizia micronesiano che ha presentato il testo dell’azione legale alla “Conferenza delle nazioni insulari minacciate dai cambiamenti climatici” a fine maggio a New York, – è di aumentare sul piano del diritto internazionale il peso politico delle nazioni più esposte al riscaldamento climatico nelle decisioni energetiche con un’incidenza significativa sul fenomeno». Il testo della causa, sostenuta da Greenpeace, fa leva sulla “Valutazione transnazionale degli impatti ambientali”. Un istituto finora usato solo tra Paesi confinanti: mai invocato da una nazione dall’altro lato dell’emisfero. Se la Micronesia riuscisse a ottenerla da Praga, anche la definizione della sindrome “nimby”, not in my back yard, andrebbe rivista.
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