“Ora va risolto il nodo Fiat valuteremo una legge ad hoc”

by Sergio Segio | 30 Giugno 2011 6:44

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ROMA – «E’ evidente che il caso Fiat andrà  risolto. Vedremo come. Ma certo sarebbe assurdo che una volta deposte le armi e trovata un’intesa unitaria sulle regole, permanesse una situazione di conflitto a Pomigliano e Mirafiori da cui è nato lo stesso accordo tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil».
Ministro Sacconi, sta pensando ad una legge che recepisca l’accordo?
«Valuteremo. In particolare il comportamento degli stessi attori sociali coinvolti nelle vicende dei due stabilimenti. Non possiamo dimenticarci che quel tavolo negoziale è stato aperto per dare certezze agli accordi aziendali. Detto ciò è molto importante che sia stato raggiunto un accordo sulle regole. E’ importante aver fissato le regole del gioco in un contesto, quale quello italiano, di relazioni industriali intense, di pluralismo sindacale, di variegata merceologia e dimensione produttiva. Con l’accordo finisce il tempo del potere di veto. D’ora in poi ciascuna organizzazione accetta di assumersi le proprie responsabilità  e accetta l’idea che gli accordi possano essere firmati, nel rispetto delle regole, anche senza di essa».
E’ vero che lei aveva suggerito di introdurre il principio dell’efficacia retroattiva dell’intesa così da risolvere i problemi della Fiat?
«Non è vero per la semplice ragione che è stato un negoziato diretto tra le parti la cui autonomia ho doverosamente rispettato. Tuttavia l’intesa tra Confindustria e sindacati, pur non avendo efficacia retroattiva, produce un’oggettiva e sostanziale sanatoria politico-sindacale dei contratti di Pomigliano e Mirafiori che domani mattina, con le nuove regole, sarebbero comunque possibili e non richiederebbero nemmeno il referendum, che pure hanno svolto, perché approvati dalla maggioranza delle Rsu. Se si guarda alla sostanza più che alla forma, il permanere di un conflitto giudiziario e sindacale sarebbe assurdo».
Ritiene che la Fiat uscirà  dalla Confindustria?
«Non lo so e mi auguro di no. Penso che sia interesse di tutti, dai sindacati al governo, difendere il piano di investimenti in Italia previsti dalla Fiat. Poi se la più grande azienda industriale italiana decidesse di mettersi fuori dal sistema porrebbe un problema che riguarderà  tutti».
Il ministro Tremonti, ha voluto ringraziare pubblicamente le parti sociali. Sembra di essere tornati allo spirito del ’92-93 quando sindacati e imprese si sostituirono quasi alla politica. Siamo in una situazione simile?
«Ha fatto bene il ministro Tremonti a sottolineare l’importanza dell’accordo per la coesione sociale e quindi la stabilità  del paese. Questo accordo aiuterà  la valutazione degli analisti istituzionali e non, dalla Commissione europea al Fondo monetario internazionale, all’Ocse, nei confronti dell’Italia».
E’ più importante l’intesa di martedì o il “protocollo Ciampi” del ‘93?
«Quella di due giorni fa. L’accordo del ‘93 nasce morto, perché irrigidisce nel nome di una lotta all’inflazione già  vinta, mentre non aiuta quell’incremento di produttività  che non abbiamo avuto da allora. L’accordo di martedì riconosce la centralità  della contrattazione aziendale nell’organizzazione del lavoro e della produzione, collegando più strettamente salari e produttività  affinché crescano gli uni e l’altra. E questo obiettivo se lo pongono tutti, dalla Germania alla Spagna di Zapatero che ha adottato addirittura un decreto legge in assenza di accordo tra le parti. Noi con la manovra economica proroghiamo e stabilizziamo la detassazione del salario aziendale».
Dia un voto ai protagonisti di questa vicenda, Angeletti, Bonanni, Camusso e Marcegaglia.
«Penso che abbiano tutti concorso in egual misura all’intesa. Avevo avvertito un cambiamento di clima quando la Cgil ha condiviso l’accordo sull’apprendistato, nel comune obiettivo di farlo essere il contratto tipico per l’accesso nel mercato del lavoro da parte dei giovani».
Non crede che dall’intesa unitaria esca sconfitta la sua linea che ha sempre esaltato le divisioni tra i sindacati?
«Ho sempre creduto nel dialogo come un mezzo e non come un fine. Deve essere un mezzo per facilitare sviluppo, occupazione e anche i salari. Non ho cambiato idea».

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