“La crisi greca minaccia l’economia globale”

by Editore | 23 Giugno 2011 7:53

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NEW YORK – La crescita americana rallenta, quest’anno resterà  sotto il 3%, i “venti contrari potrebbero essere più forti del previsto”. L’assorbimento della disoccupazione «avviene con una lentezza frustrante». Ad accrescere le incertezze sull’orizzonte economico c’è la Grecia, una “situazione difficile” che minaccia il sistema finanziario mondiale, un focolaio di crisi per il quale le autorità  americane “restano in consultazione costante con l’Unione europea”. Lo dice il banchiere centrale Ben Bernanke aggiungendo: «Stiamo monitorando l’esposizione indiretta delle banche americane al rischio Grecia». 
Bernanke affronta una conferenza stampa delicata, nelle stesse ore in cui il Congressional Budget Office rilancia l’allarme sul debito pubblico degli Stati Uniti: senza «drastici tagli a sanità  e pensioni», avverte l’authority bipartisan, il debito arriverà  al 100% del Pil entro dieci anni e raddoppierà  addirittura in 25 anni. Mentre parla Bernanke mancano appena otto giorni alla fine di un esperimento eccezionale, il “quantitative easing”, ovvero una massiccia iniezione di liquidità  (attraverso acquisti di titoli pubblici per 600 miliardi) decisa per sostenere la crescita. Un’operazione senza precedenti, e tuttavia con risultati deludenti che gli esperti e la stampa Usa non mancano di sottolineare: sulla carta il credito non è mai stato così a buon mercato (grazie al “tasso zero” della banca centrale), eppure le aziende non assumono, 25 milioni di americani non riescono a trovare il lavoro a tempo pieno che vorrebbero, e malgrado i mutui a prezzi di saldo anche il settore immobiliare continua a sprofondare nel rosso. 
I numeri di questo bilancio impietoso li fornisce lo stesso Bernanke: la Fed è stata costretta a rivedere le sue stime rispetto a due mesi fa: ora prevede un aumento del Pil fra il 2,7% e il 2,9% a fine anno (prima la forbice era fra 3,1% e 3,3%), nel 2012 una leggera accelerazione fra il 3,3% e il 3,7% (ad aprile le previsioni per l’anno prossimo erano di una crescita fra il 3,5% e il 4,2%). Con un’economia così fiacca – dati anomali quando si esce da una recessione acuta – Bernanke prevede un tasso di disoccupazione tra l’8,6% e l’8,9% a fine anno. Una percentuale di senza lavoro così elevata per periodi così lunghi è rara nella storia degli Stati Uniti, a meno di risalire alla Grande Depressione. Di certo è il principale handicap per la rielezione di Barack Obama nel novembre 2012. La Fed ieri ha confermato che col 30 giugno cesseranno i nuovi acquisti di titoli, come previsto. Viene tolto quindi il “respiratore artificiale” all’economia? In realtà  l’atterraggio non sarà  brutale perché la Fed ha in portafoglio 2.832 miliardi di titoli che non comincerà  affatto a rivendere, anzi reinvestirà  regolarmente le cedole usandole per l’acquisto di nuovi titoli di Stato. 
Inoltre il tasso d’interesse direttivo resta inchiodato a zero “per un periodo prolungato”, il che significa che rialzi dei tassi non verranno neppure discussi prima della riunione di novembre del Federal Open Market Committee. L’unico elemento di cauto ottimismo che Bernanke si è concesso: il ritorno dell’inflazione è considerato temporaneo, legato a contingenze come la guerra in Libia (petrolio), quindi non tale da giustificare una politica monetaria più restrittiva. Ma Bernanke è costretto a una sorta di ammissione di impotenza, quando osserva che “la politica monetaria ha scongiurato la deflazione ma non può essere una panacea”. Visti i mediocri risultati della Fed, è un understatement.

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