“Il raìs ha commesso crimini orrendi ma contro di lui nessuna vendetta”

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«Sarebbe bello se attraverso l’esecuzione del mandato di cattura contro Gheddafi si arrivasse all’instaurazione di un diverso sistema politico in Libia», dice Cuno Tarfusser, il giudice altoatesino della Corte penale internazionale che, assieme ai suoi colleghi, il suddetto mandato ha spiccato due giorni fa all’Aja. «Se ciò avvenisse sarebbe anche una forte legittimazione per la Corte stessa».
Giudice Tarfusser, ma perché solo oggi viene spiccato un mandato di cattura internazionale nei confronti di Gheddafi, quando il suo sanguinario regime dura da oltre quattro decenni?
«Anzitutto perché la Corte penale internazionale esiste soltanto dal 2002 e giudica crimini commessi dopo la data della sua fondazione. E poi perché per via della risoluzione 1970 del Consiglio di sicurezza dell’Onu, noi abbiamo giurisdizione soltanto per i reati commessi in Libia dopo il 15 febbraio scorso».
Perché il mandato coinvolge anche il secondogenito del raìs, Saif al-Islam, e il capo dei servizi segreti libici, Abdullah al-Senussi?
«Perché il materiale probatorio che abbiamo analizzato è molto cospicuo».
La Corte ha accettato la richiesta del procuratore Luis Moreno-Ocampo che ha presentato migliaia di pagine di prove contro il Colonnello. Sono prove schiaccianti?
«Sono ampiamente sufficienti per giustificare l’emissione del mandato di cattura. O se preferisce, sulla base del materiale ricevuto dal procuratore ho ragionevoli motivi di ritenere che determinati fatti siano successi e che le responsabilità  siano da attribuire alle persone indagate».
Qual è l’episodio più spaventoso del quale è accusato?
«È difficile discernere tra tanto orrore. Forse quello di far sparare sulla folla quando la gente esce dalla moschea, nel momento in cui è maggiormente indifesa».
Quanto rischia il raìs?
«Lo statuto di Roma, che è il materiale normativo su cui fonda la Corte, prevede per tutti e tre i reati di cui è accusato una pena fino a 30 anni di reclusione o l’ergastolo».
Gli insorti hanno detto che consegneranno loro stessi il Colonnello all’Aja. Potrebbe significare che Gheddafi non sarà  ucciso, il giorno che questi dovessero conquistare Tripoli e arrestarlo?
«Spero che in un mondo che si sta trasformando sotto il profilo della civilizzazione ci sia spazio non tanto per la vendetta ma piuttosto per un luogo deputato a giudicare un colpevole: luogo che per scelta della comunità  internazionale è appunto la Corte penale dell’Aja».
Perché la Corte non si occupa di altri dittatori quali il nordcoreano Kim Jong-il o anche il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe o ancora il bielorusso Aleksander Lukashenko?
«Perché la Corte ha giurisdizione solo su quegli Stati e sui cittadini di quegli Stati che hanno ratificato lo Statuto di Roma, che attualmente sono 119 sui 192 riconosciuti dalle Nazioni Unite. C’è un eccezione, però: quando il Consiglio di sicurezza dell’Onu deferisce il caso alla Corte. È accaduto adesso per la Libia, e per il Sudan in un recente passato. In altre parole, noi non possiamo agire senza l’Onu in quegli Stati che non ci riconoscono. Non potremmo, per esempio, spiccare un mandato contro il presidente siriano Assad».


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