Primo stop alle dige del Aysen

by Editore | 22 Giugno 2011 7:29

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Il progetto HydroAysen era stato approvato in maggio ed è fortemente appoggiato dal governo e dal presidente Sebastian Pinera in particolare. Nel suo «discorso alla nazione», un mese fa, Pinera aveva detto che quelle dighe sono necessarie per produrre l’energia di cui il Cile ha bisogno e che «non possiamo volere energia e consumarla in abbondanza, e però opporci a tutte le fonti per produrla» (vedi terraterra del 24 maggio): mentre parlava c’era una marcia di protesta fuori dal parlamento, mentre all’interno un gruppo di deputati aveva aperto uno striscione «Patagonia senza dighe», a testimoniare quanto l’opposizione al progetto del Aysen sia diffusa.
Ora dunque un tribunale dice che vuole riesaminare la procedura di approvazione di quel progetto. Le dighe dovrebbero sorgere in alta quota, in un raro ecosistema forestale alpino tra cascate e canyon; andranno a sbarrare due fiumi – Pascua e Baker – che scendono tumultuosi verso l’oceano e i suoi fiordi. Allagheranno ben 5.600 ettari di terre, con impatti socio-ambientali enormi dicono i numerosi critici del progetto.
Il sistema di dighe produrrà  energia per un totale di 2.750 megawatt, che sarà  poi trasportata verso nord a ben 2.300 chilometri di distanza, in direzione di Santiago del Cile e del suo distretto industriale, tramite una linea di trasmissione (da costruire) composta da 6mila torri alte 70 metri che attraverserà  i territori Mapuche, tagliando nove regioni (metà  del Cile), sei parchi nazionali e 67 comuni – e che nei prossimi mesi dovrà  passare il vaglio delle competenti autorità  ambientali: e qui il progetto potrebbe urtare un secondo ostacolo.
Il progetto delle dighe nell’Aysen richiede un investimento di circa 3 miliardi di dollari (non inclusa la linea di trasmissione della corrente elettrica prodotta); per il consorzio costruttore è «una fonte di energia efficace, sostenibile, affidabile, ecologicamente fattibile». Il consorzio HidroAysen merita una nota a parte. E’ per il 51% di proprietà  di Endesa, che ne è anche capofila; l’altro 49% è della cilena Colbun. E la compagnia Endesa è controllata dall’italiana Enel, controllata per il 32% dallo Stato italiano tramite il ministero dell’Economia e delle Finanze.
Contro le dighe dell’Aysen in Cile tre anni fa è stato fondato il «Consiglio della difesa della Patagonia», che comprende una sessantina di organizzazioni sociali, culturali, religiose, ambientali e studentesche. E’ significativo: l’aprovazione di quel progetto è reso possibile da normative sull’uso delle risorse naturali inscritte nella Costituzione voluta dal generale Augusto Pinochet e datata 1980, che ha avviato la più massiccia provatizzazione di risorse naturali nel paese latinoamericano – a partire dal settore idrico, il più privatizzato dell’intero pianeta. Di recente la campagna si è intensificata, e nuove voci, anche molto autorevoli – scrittori, rettori di università , intellettuali, deputati – si sono levate per chiedere al presidente Pinera di ripensarci, riesaminare il progetto e il suo impatto complessivo sull’ambiente, sociale, umano.
A sostegno delle forze sociali cilene che si oppongono alle dighe del Aysen si è formata anche una «Campagna italiana Patagonia senza dighe», che chiede all’Enel di riconsiderare la sua partecipazione al progetto

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