Presidenza Ue. La nuova Polonia, ambiziosa e solidale

by Sergio Segio | 30 Giugno 2011 15:37

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La presidenza polacca dell’Unione europea comincia sotto buoni auspici. Da qualche tempo la Polonia ha il vento in poppa e se la cava egregiamente da sola, senza ricorrere ai guru della pubblicità  o delle relazioni pubbliche. Per ora tutto va bene, ma con la campagna elettorale per le elezioni politiche (in programma a ottobre. La data è ancora da definire), basterà  poco per spingere i media europei, di solito piuttosto benevoli nei nostri confronti, a rispolverare i vecchi stereotipi sul “disordine polacco”. Al di là  delle questioni tecniche, la Polonia deve stringere delle alleanze e curare bene i rapporti con il Parlamento europeo. In Europa gli attori importanti sono sempre più numerosi: non bisogna trascurarne nessuno e pesare bene ogni parola.

In questa situazione il governo potrebbe eccedere in prudenza per evitare qualsiasi rischio politico. Ma se Varsavia vuole dare un senso alla sua presidenza, deve riflettere sul significato che questo incarico ricopre. L’ultima presidenza belga (dal 1 luglio al 31 dicembre 2010) è stata complessivamente positiva, anche se il paese era senza governo. I belgi hanno affrontato temi difficili, che hanno richiesto lunghi negoziati, come la questione dei brevetti.

Lo spazio per le idee ambiziose oggi non manca di certo, considerati gli enormi problemi che deve affrontare l’Europa. Ci si può chiedere se un paese il cui Pil rappresenta solo il 5 per cento di quello totale dell’Unione, e che aspira ancora a entrare nella zona euro, possa trattare le questioni economiche su un piano di parità  con le nazioni più grandi. Il governo polacco non può fare la politica dello struzzo e negare l’evidenza: l’Europa si trova a un bivio. I suoi paesi periferici sono in difficoltà  a causa dell’imperizia economica mostrata negli  ultimi anni e della rivolta sociale che rischia di dilagare.

Un nuovo contratto europeo

La Polonia potrebbe affermare che tutto ciò non la riguarda, perché dal punto di vista economico non è in difficoltà . La tentazione è ancora più forte se si considera che ben presto cominceranno i negoziati sul bilancio europeo, con enormi somme in gioco. La cosa più facile sarebbe dire ai partner europei di lasciare tutto com’era e chiedere cento miliardi di euro dai paesi ricchi come contributo per gli ultimi arrivati nel club europeo.

Da anni la Polonia parla di solidarietà , chiedendo all’Europa fondi per i nuovi paesi membri. Ma oggi si pone il problema della solidarietà  finanziaria per salvare le nazioni dell’Europa del sud. Ogni decisone in materia avrà  ripercussioni sui meccanismi di solidarietà  di cui approfitta la Polonia. Possiamo difendere i nostri interessi e tacere, sperando in una serie di eventi favorevoli. Ma possiamo anche scegliere una “nuova strada”, diventare difensori dello spirito comunitario e artefici di un nuovo contratto europeo, favorevole sia al sud sia al nord del continente.

Il primo ministro lussemburghese, e presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker propone la creazione di un’agenzia europea per la privatizzazione delle imprese greche. Si tratta di una nuova concezione della sovranità  europea. La tendenza è inevitabile: nel quadro di una nuova solidarietà , tutti i paesi si controlleranno a vicenda e pretenderanno l’un l’altro delle garanzie in cambio di sostegno e liquidità . Per la Polonia questa non è una cattiva notizia. Buona parte dei fondi europei potrebbe essere spesa meglio, quanto meno nel nostro paese. Se riusciremo ad avviare il dibattito sulla dialettica tra solidarietà  e responsabilità , avremo la possibilità  di influire in modo concreto sul corso degli eventi europei. E un nuovo contratto per l’Unione sarebbe già  qualcosa.

Il secondo punto è senza ombra di dubbio rappresentato dalle relazioni tra l’Ue e gli stati limitrofi. Leggiamo con invidia e ammirazione il discorso di Barack Obama sui cambiamenti in Medio Oriente e in Nord-Africa. Un vero capolavoro. La rivoluzione araba è presentata come un nuovo capitolo della lotta per l’indipendenza americana. Obama dice ai ragazzi arabi che sono come gli americani. I dirigenti europei dovrebbero ispirarsi a queste parole. Ma su questo argomento l’Europa è in preda ai dubbi: impaurita per la vicinanza geografica al Medio Oriente, è incerta sulle vere finalità  dei cambiamenti in corso. L’Europa ha pensato, un po’ frettolosamente, che rappresentassero l’ultima tappa del processo di decolonizzazione. Il Financial Times ha paragonato la rivoluzione del mondo arabo agli avvenimenti del 1989, presentando l’Europa come una nuova Unione Sovietica.

Un semestre cruciale

Per la Polonia si tratta di una sfida. Dobbiamo mostrare che la storia europea non è quella del dominio sugli altri continenti ma quella di una democrazia compiuta, che venti anni fa era ben lontana dall’essere realizzata. Il paragone con il 1989 è troppo semplicistico: gli arabi non hanno truppe sovietiche sul loro territorio, non conoscono un’inflazione galoppante né un debito enorme e non sono obbligati a trasformare l’economia pianificata aprendola al libero mercato. Nel loro caso al limite si può parlare di un’economia di mercato che non funziona.

La Polonia deve far conoscere i risultati della sua trasformazione e insistere sulla creazione di un rappresentante speciale incaricato di seguire le riforme nel mondo arabo. Questo posto dovrebbe essere riservato a un politico dell’Europa centrale di grande autorevolezza. L’Ue dovrebbe mettere a punto un progetto ambizioso per sostenere una trasformazione che preveda la liberalizzazione del commercio e la concessione di aiuti finanziari, ma anche la nascita di uno stato di diritto e di media indipendenti. In altre parole di tutti quei meccanismi che hanno contribuito al successo della nostra transizione.

A dare il giudizio finale sulla presidenza polacca saranno l’opinione pubblica, i media e gli analisti, non i funzionari europei. Per questo motivo bisogna curare la comunicazione. Il primo ministro polacco ha già  cominciato a farlo. In Europa Donald Tusk gode di un’immagine di politico ragionevole, con il quale si può discutere, ma pochi lo conoscono bene e risponde di rado agli inviti delle organizzazioni e degli istituti europei. Adesso dovrà  presentarsi alle interviste e, soprattutto, far conoscere il suo programma.

Tutti ricordano il discorso di Tony Blair al Parlamento europeo nel 2005. Un discorso applaudito anche dai deputati degli altri schieramenti politici. Tusk dovrà  seguire questa strada: parlare della sua visione dell’Europa e non degli aspetti tecnici della presidenza.

Per il ruolo della Polonia in Europa i prossimi sei mesi saranno più importanti di quanto si può immaginare. Si dice che un paese diventa davvero membro dell’Unione solo dopo averla presieduta. Nell’Unione europea i nuovi arrivati il più delle volte si limitano a fare lo stretto necessario per evitare imbarazzi e insuccessi. Oggi la Polonia deve dimostrare che, anche se è entrata nell’Ue solo sette anni fa, è consapevole della sua forza e del suo valore. (adr)

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