Piano del Tesoro sulle pensioni donne a 65 anni e tagli alle più alte

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ROMA – Stop alla Scala mobile sulle pensioni più alte o, in alternativa, un contributo di solidarietà  sugli assegni d’oro; aumento graduale dell’età  pensionabile delle donne a 65 anni anche nel settore privato. La previdenza entra, con queste due ipotesi, nel menù dei tecnici della Ragioneria e del ministero del Lavoro che stanno preparando le misure per la maxi-manovra da 40 miliardi che servirà , in base ai patti europei, a raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014. La manovra dovrebbe essere esaminata dal Consiglio dei ministri del 23 giugno insieme alla delega light sulla riforma fiscale (con le tre aliquote e le cinque imposte) preparata dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti.
Le scelte politiche si faranno a ridosso del varo della manovra economica ma, ormai, appare scontato che i tagli riguarderanno anche le pensioni, oltreché il pubblico impiego (si ipotizza un nuovo blocco della contrattazione nel 2013), la sanità  (con l’introduzione dei costi standard al posto di quelli storici) e gli enti pubblici (nel mirino c’è soprattutto l’Ice, l’Istituto per il commercio estero).
Tagli, ma non solo nella previdenza, perché al ministero del Lavoro puntano a correggere alcune storture della ricongiunzione (il passaggio dei contributi da un ente a un altro) e della cosiddetta “totalizzazione” (si possono cumulare i contributi versati a più enti per ottenere una sola pensione). Ed è probabile anche un intervento per alzare l’aliquota contributiva dei lavoratori atipici con contratto di collaborazione (i co.co.pro) attualmente intorno al 26 per cento contro il 33 per cento circa a carico dei dipendenti con contratto standard. Una misura che serve a aumentare il montante contributivo sul quale verrà  calcolata la pensione futura.
Sotto la spinta di una sentenza della Corte di Giustizia europea il governo ha già  innalzato l’età  pensionabile delle dipendenti del pubblico impiego. Quest’anno è passata da 60 a 61 anni e nel 2012, con un balzo di ben quattro anni in una volta sola, arriverà  al traguardo dei 65 anni, raggiungendo quella prevista per gli uomini. Ora la Ragioneria ipotizza di estendere la misura alle lavoratrici del settore privato. Una linea però che troverebbe molti ostacoli. A parte quello prevedibile dei sindacati, c’è, da sempre, la contrarietà  dello stesso ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Perché – è il ragionamento che si fa al ministero – una cosa è far restare le donne al lavoro in un ufficio pubblico per altri cinque anni, altra cosa è allungare il tempo del lavoro per un’operaia, magari alla catena di montaggio. E poiché questa figura di lavoratrice si concentra soprattutto nelle regioni settentrionali, è difficile che la Lega («sindacato del Nord», secondo la felice intuizione di Ilvo Diamanti) possa accettare una penalizzazione di questo tipo in una fase, tra l’altro, in cui il partito stenta a ritrovare la sua identità  sociale.
Ma se quella per donne è un intervento ancora pieno di incognite, è dato per scontato il contributo di solidarietà  sulle pensioni più alte. Non è ancora stato fissato un tetto, ma l’ipotesi più probabile è che si segua quanto fece Cesare Damiano, predecessore di Sacconi al ministero del Lavoro. Un blocco della indicizzazione delle pensioni più alte (attualmente vengono adeguate solo al costo della vita e non più alla dinamica dei contratti di lavoro), così da recuperare risorse per alzare il tasso di copertura dall’inflazione dei trattamenti più bassi (oggi più o meno al 75 per cento). Damiano, con una specie di contributo di solidarietà  strutturale, bloccò le pensioni superiori a 3.800 euro lordi mensili. Con un risparmio intorno ai 140 milioni di euro l’anno.


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