by Editore | 28 Giugno 2011 9:31
Nella loro dichiarazione congiunta le associazioni danno voce a tutte le loro preoccupazioni sui pacchetti di aiuti finanziari sponsorizzati da Unione Europea e Stati Uniti per la transizione nei Paesi della regione del Mediterraneo attraversati dalle recenti rivoluzioni popolari. “Questi pacchetti – sostengono le associazioni – potrebbero avere degli impatti negativi sui processi di transizione democratica e sconvolgere gli obiettivi di giustizia sociale ed economica che le stesse rivoluzioni si sono date”.
L’appello è nato da un incontro a margine del recente G8 tenutosi nella cittadina francese di Deauville, in cui le associazioni della società civile hanno discusso del sostegno alla “Primavera araba” alla presenza di rappresentanti ufficiali dei governi di transizione di Egitto e Tunisia, entrati in carica a seguito di rivoluzioni di popolo pacifiche che sono riuscite a deporre i regimi dittatoriali oppressivi al potere da decenni. “Le rivoluzioni in Egitto e Tunisia – notano le associazioni – hanno traghettato questi paesi in un’era nuova, caratterizzata dalla richiesta popolare di una transizione verso istituzioni e pratiche democratiche. Transizioni che devono essere accompagnate da profonde riforme sociali, economiche e politiche, da definire attraverso un dialogo inclusivo a livello nazionale, una governance partecipata e sul coinvolgimento di una società civile emancipata e responsabile”.
“I cambiamenti democratici ricercati dalle popolazioni locali non saranno raggiunti con l’aumento degli aiuti legati a condizionalità politiche, ulteriori liberalizzazioni di commercio e investimenti, deregolamentazioni e ricette economiche molto ortodosse che hanno così tanto contribuito alle ingiustizie contro le quali si sono ribellati i popoli di Tunisia ed Egitto” – ha dichiarato il direttore della Rete delle Ong arabe per lo sviluppo, Kinda Mohamadieh. “Il percorso verso lo sviluppo – ha evidenziato Mohamadieh – passa necessariamente per la volontà dei popoli di ogni singolo Paese, attraverso un processo costituzionale e un dialogo nazionale”.
È importante sottolineare come, nel documento sottoscritto dalle 67 realtà del mondo arabo, sulle istituzioni finanziarie internazionali tramite cui dovrebbe “passare” il pacchetto di aiuti ricada la responsabilità di aver promosso in maniera sistematica per anni gli ingiusti modelli economici che hanno portato all’impoverimento e alla marginalizzazione di molti Paesi nord-africano e del Medio Oriente. Per esempio, non più tardi del settembre 2010 il Fondo Monetario Internazionale lodava ancora “l’adeguato modello di gestione macroeconomica della Tunisia e le riforme compiute nell’ultimo decennio” chiedendo in proposito ulteriori riforme dello stesso stampo in merito “al contenimento della spesa pubblica sui salari, il cibo e i sussidi sui combustibili”. Questi stessi modelli sarebbero incentivati, a meno che non cambi qualcosa, attraverso le condizionalità attaccate ai nuovi pacchetti di sviluppo.
”Per questo – notano le associazioni – oltre alla questione delle condizionalità , vanno valutati attentamente i prestiti e l’operato nella regione delle banche multilaterali di sviluppo, va incentivata la massima trasparenza nella distribuzione dei nuovi aiuti, c’è la necessità di una revisione da parte di un organismo indipendente dei vari debiti sovrani esistenti, con l’eventuale cancellazione di debiti odiosi contratti dai dittatori ora destituiti e bisogna poi rinegoziare gli impegni economici e commerciali presi dai precedenti esecutivi”.
Il network europeo Counterbalance, che conduce la campagna per la riforma della Banca europea per gli investimenti (BEI), sostiene la dichiarazione delle Ong arabe. Secondo Caterina Amicucci, della campagna italiana CRBM, membro di Counterbalance “Gli Stati occidentali tendono a confondere la transizione verso la democrazia con quella verso le liberalizzazioni che servono ai loro interessi e non necessariamente a quelli delle persone a cui dovrebbero recare un beneficio. La Banca europea per gli investimenti, tramite cui sarà veicolata la fetta più cospicua degli aiuti europei, è stata attiva nella regione per oltre 30 anni, senza dei risultati tangibili per le comunità locali. Anzi, spesso è stata criticata per la mancanza di trasparenza e per i massicci investimenti nei combustibili fossili” – ha concluso la Amicucci.
Le associazioni chiedono perciò che “gli aiuti stanziati per la regione sostengano un processo di sviluppo democratico guidato dal popolo piuttosto che contribuire ad aumentare il debito dei paesi e delle loro popolazioni o limitare le loro politiche di sviluppo ed i loro processi decisionali democratici su questioni economiche e di giustizia sociale”. Nello specifico le associazioni domandano “la possibilità di valutare e rinegoziare gli impegni commerciali, economici e finanziari assunti dai governi precedenti a livello internazionale”. “Questa revisione – sostengono le associazioni – dovrà riguardare le svendite del patrimonio pubblico e le concessioni per lo sfruttamento delle risorse naturali effettuate dai precedenti governi, attraverso accordi siglati con pratiche di corruzione”.
Inoltre le 67 associazioni firmatarie chiedono “una revisione dei debiti contratti sia dalla Tunisia che dall’Egitto, risultato di anni di governo antidemocratico e di decisioni dettate dagli interessi particolari dei regimi dittatoriali; questa operazione porterebbe all’individuazione ed alla conseguente cancellazione del debito odioso di Tunisia ed Egitto” e “l’allineamento fra gli aiuti ed una revisione delle politiche migratorie che regolano la circolazione delle persone nella regione Mediterranea, in modo da riflettere i principi internazionali dei diritti umani”.
Nei giorni scorsi il ministro della Pianificazione e della Cooperazione Internazionale del Cairo, Fayza Aboul Naga, ha affermato pubblicamente che il governo di cui fa parte “non ha nessuna intenzione di accettare le condizionalità attaccate ai prestiti concessi dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale, in quanto contrarie agli interessi nazionali”. Un finanziamento da parte della Banca Mondiale sarebbe già stato rimandato indietro, ma al proposito non ci sono conferme ufficiali. Lo scorso maggio proprio la Banca aveva deliberato un prestito di 4,5 miliardi di dollari da erogare in un arco di tempo di due anni, subordinato a riforme politiche e sociali. Il Fondo monetario, invece, il 5 giugno aveva fatto sapere che c’era un accordo con il governo egiziano per una linea di credito iniziale di 3 miliardi di dollari, soggetta alla revisione del sistema dei sussidi e all’accettazione incondizionata dei principi del libero mercato.
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