Occupiamo altri palcoscenici per riscoprire il senso collettivo
In questi ultimi giorni sono passati, tra gli altri, Anna Bonaiuto, Nicoletta Braschi, Francesco Scianna, Marco Foschi, Franco Battiato, Giancarlo De Cataldo, Fabrizio Gifuni, Elio Germano, Sabina Guzzanti, Marco Martinelli … Stasera ci sarà uno speciale sul comico, si ironizza si «finanziaria, bilanci, tagli, profitti». Ogni giorno, fino a tardi, c’è un un gran viavai di gente, si incontrano gli amici, chi non capitava di vedere da un po’, si parla, si discute, si sente un’energia che sembrava ormai quasi impossibile. Anche Pippo Delbono ha accettato qualche giorno fa l’invito di salire sul palcoscenico del teatro occupato. «La prima impressione che ho avuto è quella di una grande vitalità , una bella scossa contro l’abitudine ormai fin troppo diffusa di non considerare più niente innaturale. à‰ che il sistema in cui ci muoviamo si basa sulla competizione, portando ciascuno di noi a non preoccuparsi di nulla se non di sé, dei provini da fare, se riuscirai a trovare i soldi per il film, se ti prendono in uno spettacolo importante o alla televisione, quanti teatri chiudono la tua produzione … E questo ‘obbligo’ a concentrarci sul nostro io, per rispondere appunto alle regole del sistema, ha completamente ucciso lo spirito di gruppo».
Milano e Napoli, il referendum vinto dai sì. Pensi che anche questa esperienza dell’occupazione di un teatro può diventare il punto di partenza per qualcosa di nuovo?
Credo che il sistema di cui parlavo ci ha fatto dimenticare perché e cosa significa essere artisti. à‰ una scelta rivoluzionaria, vuole dire essere contro qualcosa, e questo dovrebbe essere più importante di tutto il resto. Occupare un teatro è un segno forte, noi artisti dobbiamo essere vigili. Ritrovare un spirito di gruppo, un senso collettivo al proprio lavoro significa soprattutto uscire dall’idea di fare solo le proprie cose. L’artista dovrebbe illuminare la collettività specie in tempi oscuri come è questo nella politica, nella vita sociale, nella televisione. Si pensa che i luoghi degli artisti, cioè i teatro, devono essere un regalo. Invece no, ci appartengono ed è nostro dovere interrogarci continuamente su come usarli. Chi entra nei teatri? Cominciamo a chiedercerlo… Forse ne dovremmo occupare di più, dovremmo occupare i teatri dell’opera, riprenderci in mano tutti i luoghi della nostra arte con una domanda a cui rispondere: perché si chiamano luoghi culturali? E ancora: che senso ha questa definizione oggi? Se pensiamo al passato, nella Grecia antica il teatro era il luogo di rappresentazione della comunità . Serviva a far riflettere i cittadini, a rispondere a questioni fondanti per lo spirito collettivo. Ecco non dovremmo perdere questo spirito originario, andrebbe invece preservato e reso attuale.
Come pensi che possa continuare questa esperienza? O meglio quale potrebbe essere secondo te una svolta possibile per andare avanti?
A un certo punto si dovrà decidere a chi affidare la gestione del teatro, è una scelta politica, perché si potrebbe decidere per una gestione diversa da quelle praticate finora, il Valle potrebbe diventare un polo, un punto di orientamento. Ma si deve pretendere che sia finanziato altrimenti diventa subito una soluzione perdente, ci sono esigenze concrete a cui rispondere, con l’autofinanziamento si può andare avanti un po’. Però tutto questo si può continuare a organizzarlo ‘dal basso’, senza le imposizioni della politica o le logiche delle amicizie. Il Valle può diventare un bellissimo esperimento diverso. Inoltre mi sembra anche importante che l’occupazione di un teatro accada in una città come Roma, da cui negli ultimi tempi arrivano troppo spesso segnali di violenza e di intolleranza. Ti rendi conto che hanno ammazzato un ragazzo solo perché suonava la sera in strada? Mi viene da dire che è giusto che l’artista sia diverso, anzi che deve essere diverso, oggi è molto importante mettersi su binari che vanno contro, altrimenti si rischia lo sfilacciamento borghese, finiamo tutti con la «normalina». «Essere artisti significa essere rivoluzionari L’occcupazione può essere un esperimento diverso fuori dal sistema attuale»
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