by Editore | 13 Giugno 2011 7:21
È il responsabile, diretto o indiretto, al fianco del proprio capo politico Radovan Karadzic e del loro comune padrino Slobodan Milosevic, dei centomila morti della guerra di Bosnia, delle centinaia di migliaia di feriti, di mutilati e, naturalmente, di esuli che si sono aggiunti ai morti: insomma, è il responsabile di questo disastro umano, morale, spirituale, nel cuore dell’Europa. È la voce che si sente urlare (e che nel documentario Bosna! avevo montato sulle immagini dell’incendio della grande biblioteca di Sarajevo) ai propri comandanti, per radio, il 29 maggio 1992, cioè qualche settimana dopo l’inizio dell’assedio della città : «Aprite il fuoco sull’Assemblea bosniaca, è un mio ordine» (ordine al colonnello Kovacevic); «Uccidete tutti quelli che potete uccidere» (ordine al colonnello Vukasinovic); «Sparate più forte, sempre più forte, utilizzando unicamente i calibri 155 e i missili» (al colonnello Stojanovic). È la rappresentazione, infine, del mostruoso diniego della realtà , per non dire del compiacimento e addirittura della complicità , che portarono la Serbia a versargli, ancora fino ai primi anni del Duemila, la pensione di generale, e che permisero a una comunità internazionale che più o meno sapeva dove si fosse rintanato negli ultimi quindici anni, di non dire nulla, di non fare nulla e per ragioni che, speriamo, il processo chiarirà , di assicurargli fino ad oggi, come hanno fatto Stati Uniti ed Europa per primi, una scandalosa impunità . Adesso si è voltata pagina. Come gli organizzatori del genocidio del Ruanda, la maggior parte dei quali sono stati riacciuffati dalla giustizia, Mladic dovrà finalmente, con Karadzic, rispondere dei propri crimini. E il processo che si aprirà avrà conseguenze di una portata più o meno lunga, ma tutte decisive. La prima conseguenza sarà un senso di sollievo per i parenti delle vittime e per i rari superstiti del peggior massacro di massa commesso, sul suolo europeo, dalla fine della Seconda guerra mondiale: senza giustizia non c’è lutto; quindi non c’è consolazione; e la piaga rimasta aperta, indefinitamente riaperta, che fa del sopravvissuto la tomba segreta dei propri morti, il loro fantasma, il loro ventriloquo, costringe al silenzio. La seconda sarà benefica per la Serbia, che viveva con un vuoto di memoria o — è la stessa cosa— con un eccesso di morti sulla coscienza: anch’essa fantomatica, non meno spettrale della Bosnia, sebbene per ragioni rigorosamente contrarie. La Serbia si libera, con la consegna di Mladic, di quella parte di sé che portava come un non-detto, una maledizione, una sgradevole voce interiore, rendendola folle; e che, dopo la caduta di Milosevic, era l’ultimo sintomo di un passato che non passava; ed era, molto più della sua situazione economica e finanziaria, l’ostacolo più serio al suo ingresso nella zona euro e nell’Europa. E adesso? Ebbene, adesso bisogna che la Bosnia entri in quell’Europa di cui essa fu, e resta, uno dei simboli più eclatanti. E dopo la Bosnia, la Serbia. L’arresto di Mladic è poi una pessima notizia per tutti i criminali di guerra, i tiranni folli e gli psicopatici, non più della regione, ma del mondo. Perché, ancora una volta, il messaggio è chiaro. La giustizia internazionale esiste. Ha acquisito, in un tempo record, legittimità e autorità . Se ti chiami al Bashir, Gheddafi o, appunto, Ratko Mladic, puoi sfuggirle per qualche mese, per qualche anno, magari per quindici anni. Ma viene sempre il momento in cui il cerchio si stringe, in cui gli spettri ti raggiungono e arriva l’ora dei conti. Grande e forte lezione delle cose! Mladic sarà condannato per crimini di guerra? Crimini contro l’umanità ? O anche, come il suo secondo, Radislav Krstic, per genocidio? Non sono un inquirente né un procuratore. Però tenderei a dire che crimine contro l’umanità sia il termine più adeguato per quello che gli storici, da parte loro, hanno già stabilito. E credo che genocidio sia una parola da usare con estrema prudenza. Ma è la giustizia, e la giustizia soltanto, che deciderà . Per questo, e sarà a suo onore, prenderà tutto il tempo che le sarà necessario. Moltiplicherà le procedure, confronterà informazioni e testimonianze, stabilirà i fatti. Darà la parola — e non importa se questo ci farà spazientire — alla difesa. Tenterà , anche, di far luce sull’altra scena di questa vicenda: quella che ha permesso al macellaio di Srebrenica di ritardare, così a lungo, l’ora del faccia a faccia con le sue vittime. Ma lasciamo, per il momento, e ancora una volta, parlare i giudici. Lasciamo che sia dimostrato come si possa rispondere alla barbarie con la verità e con l’applicazione scrupolosa della legge. Il processo Mladic deve essere il trionfo, quindici anni dopo, della verità e del diritto. (traduzione di Daniela Maggioni)
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