Milano, accoglienza inadeguata: “Vacanze forzate” per i profughi libici

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MILANO – Qual è il destino dei 500 profughi dalla Libia che sono stati accolti tra maggio e giugno a Milano e provincia? La strada. Per ora sono ospitati in alberghi e nelle strutture del terzo settore, ma una volta ottenuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari non ci saranno risorse e strutture in grado di aiutarli a trovare un lavoro e una casa. Il motivo è semplice: il sistema di accoglienza “ordinario” conta 400 posti, suddivisi in otto centri specializzati. Che erano già  pieni prima dell’ondata di persone dal nord Africa. È quanto emerge dall’inchiesta “Vacanze forzate” del numero di luglio di Terre di mezzo – street magazine (www.terre.it), secondo il quale la vera emergenza deve ancora arrivare, perché Regione, Provincia e Comune non hanno una strategia a lungo termine per l’integrazione dei nuovi profughi. La maggior parte di loro (circa 320) sono parcheggiati al residence Ripamonti, dove passano le giornate a giocare a calcio, senza assistenza psicologica né legale. Un business per chi li accoglie (50 euro al giorno), un limbo estenuante per i profughi, ignari del loro futuro.

Nei mini appartamenti del residence Ripamonti c’è anche la tivù satellitare. “Certo, non mi lamento, ma forse potevano trovare una sistemazione più modesta e investire in altri sussidi”, afferma Joseph, originario del Ghana. Tra gli ospiti c’è delusione perché molti non hanno ancora potuto presentare la loro domanda d’asilo in Questura. Solo dal 13 giugno qualcosa è cambiato: la Parrocchia Sant’Alessandro insieme alla Consulta dei migranti di Pieve Emanuele e alla onlus Lule ha attivato un corso d’italiano, tenuto da 30 insegnanti volontari.

L’accoglienza per i profughi dovrebbe invece essere diversa. Di norma gli otto centri di primo livello (400 posti), offrono corsi di italiano e assistenza legale, psicologica e sanitaria. Il percorso prevede, dopo circa 10 mesi, l’inserimento in comunità  di secondo e terzo livello, che forniscono anche corsi di formazione professionale e un servizio di accompagnamento per la ricerca di alloggio. In questa fase, però, i posti sono ancora di meno: soltanto 235, tutti sempre occupati. Che cosa accadrà  nei prossimi mesi? Il piano d’emergenza della Protezione civile prevede che con gli sbarchi dalla Libia dei prossimi mesi si aggiungeranno, agli attuali 1.700, altri 7 mila profughi nella sola Lombardia. Non si sa quanti verranno destinati a Milano, ma è chiaro che la stragrande maggioranza sarà  abbandonata a se stessa. (Lorenzo Bagnoli/dp)

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“In Italia diritti non in linea con gli standard europei”: 40 rifugiati accolti in Germania

Inchiesta di Terre di Mezzo: hanno ottenuto dai tribunali tedeschi la possibilità  di restare in Germania dal momento che il nostro Paese non ha saputo offrire loro condizioni di vita dignitose

MILANO – Sono una quarantina i rifugiati politici e richiedenti asilo fuggiti dall’Italia e che hanno ottenuto dai tribunali tedeschi la possibilità  di restare in Germania dal momento che il nostro Paese non ha saputo offrire loro condizioni di vita dignitose. E’ quanto emerge dall’inchiesta pubblicata sul numero di luglio di Terre di mezzo – street magazine (vedi lancio precedente).“La situazione umanitaria dei richiedenti asilo in Italia, e in modo particolare per quanto riguarda la salute e il diritto alla casa, non è in linea con gli standard minimi europei” si legge nella sentenza, emanata il 9 novembre 2010 dal tribunale amministrativo di Darmstadt, con cui i giudici stabilivano la sospensione del rimpatrio in Italia di un ragazzo somalo di 29 anni sbarcato a Lampedusa nell’aprile 2009.
Una sentenza che congela la prassi prevista dal regolamento “Dublino II” (343/2003): norma che impone ai profughi di chiedere protezione nel primo Stato membro in cui mettono piede. Chi viene pizzicato altrove deve essere rispedito al mittente.

Tra  giugno 2010 e maggio 2011 sono stati 27 i rifugiati politici e richiedenti asilo che hanno ottenuto il permesso di restare in territorio tedesco in attesa di sentenza definitiva. “In realtà  i casi di sospensione sono più numerosi, almeno 40 in tutta la Repubblica federale”, puntualizza Dominik Bender, avvocato specializzato nella tutela dei diritti dei migranti e difensore di Mohamed. “Io e i miei colleghi incontriamo molti ragazzi scappati da Somalia, Etiopia ed Eritrea. Quasi tutti sono passati da Lampedusa -prosegue l’avvocato- e le storie che ci raccontano hanno aspetti comuni”. Se le istanze di sospensione verranno confermate, sperano gli avvocati, l’Ufficio per l’immigrazione potrebbe bloccare i rinvii verso l’Italia, come ha già  fatto nel caso della Grecia.

Pochi fortunati se si pensa che, solo nel 2009, i Paesi dell’Unione hanno chiesto al nostro Governo di “riprendersi” 10.596 fuggitivi. Erano stati 5.676 nel 2008 e 3.314 l’anno precedente. “È un dato parziale -commenta Christopher Hein, direttore del Centro italiano per i rifugiati-: tiene conto di quanti, una volta arrivati all’estero, presentano una nuova domanda d’asilo o vengono fermati dalla polizia. Non sappiamo, invece, quanti siano quelli che scelgono di vivere da irregolari”.

Mohamed, 29 anni, era fuggito dalla Somalia in guerra: sbarcato a Lampedusa nell’aprile 2009 aveva chiesto asilo politico. Dopo circa cinque mesi trascorsi in un centro per migranti riceve i documenti e viene allontanato. “Ho preso il treno per Roma – racconta nella testimonianza giurata resa ai giudici -. Vivevo per strada e mangiavo alla mensa dei poveri”. Tenta la fuga una prima volta nel maggio 2010: destinazione Finlandia, ma viene rimandato indietro. Ci riprova il 21 giugno 2010: in autobus raggiunge l’Olanda e da qui la Germania. Si ferma a Francoforte sul Meno e chiede nuovamente asilo.
“Se state pensando di rispedirmi in Italia, vi chiedo piuttosto di rimandarmi immediatamente in Somalia”, ha detto ai giudici del tribunale amministrativo di Darmstadt che hanno esaminato il suo caso. (is)

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 L’Oim: “Identificati 150 minori al confine tra Libia e Tunisia”

Il dato rappresenta la punta dell’iceberg perché nelle prime settimane del conflitto non è stato possibile registrare sistematicamente l’afflusso. Sono di origine maliana, ghanese, ivoriana. Alcune ragazze vittime di tratta

ROMA – L’Unicef, che opera al confine tra Libia e Tunisia con il supporto dello staff dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) riferisce che dall’inizio della crisi libica sono stati identificati 150 bambini che come tanti altri migranti sono fuggiti dalle violenze riversandosi nei paesi limitrofi. I minori non accompagnati e i bambini migranti separati dai loro genitori sono i principali soggetti a rischio di abuso, sfruttamento e violenza. Molti di loro negli scorsi mesi hanno cercato protezione nei campi per migranti posti lungo la frontiera tra Tunisia e Libia.

“Questi dati – si legge in una nota dell’Oim – non sono che la punta dell’iceberg, poiché nelle prime settimane del conflitto non è stato possibile registrare in modo sistematico l’enorme afflusso di migranti provenienti dalla Libia. Di conseguenza, la presenza di molti bambini non è stata regolarmente registrata e documentata”. ““Molti dei minori non accompagnati presenti nei tre campi del confine tra Tunisia e Libia sono ragazzi tra i 15 e i 17 anni provenienti da piccoli villaggi vicini al confine libico con Ciad e Niger. Altri invece sono minori di origine maliana, ivoriana, ghanese, etiope e sudanese. Tutte le loro famiglie vivono in condizioni di indigenza, impiegate in lavori agricoli o titolari di piccolissime attività  commerciali. Alcuni bambini somali ed eritrei bisognosi di protezione internazionale sono stati segnalati all’Unhcr.

“I bambini – prosegue la nota – mandati in Libia da genitori e parenti per poter inviare soldi a casa, avevano lavoretti occasionali o erano impiegati da famiglie e da imprese di costruzione.  
Il team dell’Oim presente a Ras Adjir, il principale punto d’accesso alla Tunisia, riferisce che i minori non accompagnati sono tra i soggetti più vulnerabili perché per diversi anni hanno dovuto sopportare il peso di mantenere economicamente intere famiglie dell’Africa rurale afflitte da condizioni di estrema povertà . Queste famiglie continuano a dipendere completamente dal denaro inviato a casa dai ragazzi”.

“All’interno del gruppo sono inoltre state identificate alcune ragazze vittime di tratta originarie dell’Africa occidentale che sono apparentemente arrivate nel paese per studiare e lavorare, ma che alla fine sono finite in un giro di prostituzione”. “Non sappiamo se queste ragazze siano arrivate al confine con i loro stessi trafficanti o sfruttatori, o con dei compatrioti che si sono solo offerti di aiutarle. Se anche i trafficanti sono qui nei campi, è chiaramente un grosso pericolo per loro. Purtroppo abbiamo poche fonti e risorse per approfondire queste indagini, trovare i trafficanti e perseguirli legalmente” dichiara Agnès Tillinac, responsabile per la Protezione dei Minori dell’Oim a Ras Adjir.

“Nei campi sono stati anche identificati alcuni bambini separati dalle loro famiglie. Tra questi, due fratelli di 15 e 4 anni: la loro madre è ancora dispersa, e si presume sia morta nel recente naufragio a largo della costa tunisina che è costato la vita a centinaia di migranti che tentavano di raggiungere l’Italia”. Le autorità  tunisine, l’Unicef e l’Oim si stanno impegnando per trovare un alloggio alternativo più sicuro per i due minori, almeno finché non si trovi per loro una soluzione migliore. Con una madre presumibilmente morta e un padre (già  divorziato dalla consorte) dato per disperso, l’unico parente rimasto sarebbe uno zio attualmente residente in Italia”.

L’Oim e l’Unicef, in stretta cooperazione con le autorità  tunisine, stanno lavorando per migliorare l’assistenza a tutti questi bambini e a tutti quelli che arriveranno nei prossimi giorni dai confini libici. Tra le azioni intraprese sono incluse anche attività  di formazione rivolte a  quanti lavorano in prima linea, al fine di poter identificare con più facilità  i minori non accompagnati e i bambini separati dalle famiglie. Molti di loro non hanno documenti o, se li hanno, contengono informazioni errate. Dopo l’arrivo, i bambini vengono seguiti da un sistema di assistenza ‘coordinato’ tra le varie agenzie presenti”.

“L’obiettivo primario è quello di facilitare il ricongiungimento dei bambini con le loro famiglie, e quando possibile, determinare se questa opzione sia davvero la migliore per il minore. L’Oim ha già  facilitato il ricongiungimento di 41 bambini con le loro famiglie in Ciad, Niger e Senegal, fornendogli cibo, vestiti, supporto nell’istruzione o opportunità  di formazione professionale. Per i minori di 16 o 17 anni che hanno già  competenze ed esperienza professionale, viene invece fornita assistenza finanziaria per investimenti lavorativi, in accordo con le leggi nazionali”.

“È un processo lungo e difficoltoso che coinvolge molti partner. I genitori dei bambini devono essere rintracciati dalla Croce Rossa Internazionale e poi contattati dall’Oim. In seguito, il nostro staff conduce degli accertamenti per assicurarsi che il ricongiungimento con la famiglia consenta ai bambini delle condizioni di vita dignitose”, aggiunge Tillinac. “Queste procedure sono fondamentali per assicuragli una protezione effettiva, ma molti bambini sono impazienti e non capiscono che ci si impegna per il loro interesse e per la loro sicurezza. Questa impazienza può diventare molto pericolosa, perché i minori sono già  tra i soggetti più vulnerabili”.

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