Mauritania, schiavi e padroni ci sono ancora. Ma i piccoli Said e Yarg accendono la protesta
ROMA – Said OuldSalka ha 13 anni. Suo fratello Yarg soltanto 8. Dovrebbero andare a scuola, nel tempo libero avrebbero diritto di giocare, ma non è così. Said e Yarg sono schiavi, schiavi per nascita. Perché la loro mamma, Salka, è una schiava. E così anche la madre di Salka. Succede a Nouakchott, in Mauritania, uno degli ultimi paesi al mondo a tollerare la schiavitù. Una legge del 1981 – rafforzata nel 2007 con pene severissime nei confronti dei “padroni” – avrebbe abolito questa pratica medievale e degradante, ma nella realtà nascere in una famiglia di schiavi condiziona ancora tutta la propria vita. La quasi totalità del lavoro domestico a Nouakchott, e del lavoro agricolo nelle campagne, viene svolto da schiavi senza alcuna remunerazione. Migliaia e migliaia di uomini, donne e bambini sono ancora legati da ancestrali rapporti con il maà®tre.
I padroni dello schiavo. Lo schiavo, in Mauritania è come il vitello, il capretto, i frutti dell’albero: appartiene al padrone che ne dispone come crede, lo impiega nel lavoro domestico o agricolo, lo sfrutta sessualmente fin da tenerissima età . Se nasci schiavo appartieni alla sua famiglia, non godi di alcun diritto, dormi in locali separati, non puoi sposarti senza il suo permesso, puoi essere affittato e venduto. Come ai tempi dei neri sfruttati nelle piantagioni di cotone. Come Kunta Kinte, il protagonista del serial tv “Radici” che raccontava la difficile esistenza degli africani alla fine del 1700.
Tre secoli trascorsi invano. Solo che sono passati tre secoli e in Mauritania non è cambiato nulla. Moltissimi schiavi sono bambini, anche di cinque o sei anni, ai quali non viene fornita alcuna istruzione. Piccoli ai quali viene insegnato soltanto che un’antica maledizione ha reso i neri schiavi dei bianchi e che i neri devono accettare questa condizione per guadagnarsi il Paradiso. Said e Yarg lo hanno imparato subito e fino a poco tempo fa non si erano mai ribellati. Said badava alle capre e ai cammelli, Yarg lavava i piatti e si spaccava la schiena a passare lo straccio sulle scale di casa del maà®tre.
Quando è scoppiato il caso. Poi, ad aprile, Said ha deciso di scappare portando con sé il fratellino più piccolo. In qualche modo sono arrivati a Lemden e hanno trovato rifugio a casa delle zia Salma Mint M’Bareck. Quest’ultima si è rivolta a un militante dell’Ira (Initiative pour la Résurgence du Mouvement Abolitionniste), e il caso è scoppiato. Il 17 aprile l’Ira, Sos Esclave e Afcf presentano alla polizia una denuncia contro i padroni dei due bambini: come spesso accade da quelle parti la polizia prende tempo cercando di insabbiare tutto. Ma i militanti non si arrendono, organizzano un sit-in davanti al commissariato e per una settimana inchiodano davanti alle loro responsabilità le forze dell’ordine. Ci sono scontri, arresti, ma alla fine vincono le Ong: la polizia apre una inchiesta contro gli schiavisti, sei indagati vengono deferiti dinanzi alla Procura, anche la madre dei due bambini viene denunciata per induzione alla rinuncia della libertà . Said e Yarg tornano liberi, ma dopo qualche settimana anche i loro padroni fanno rientro tranquillamente nella loro casa, come se nulla fosse successo.
In attesa dell’udienza. Adesso una nuova ondata di proteste ha convinto la Procura generale mauritana a impugnare quella decisione. E oggi si è in attesa che venga fissata l’udienza di discussione. Per questo un gruppo di giuristi italiani dell’Osservatorio internazionale Ossin ha deciso di andare a Nouakchott per seguire da vicino questa vicenda. L’iniziativa, guidata dal magistrato napoletano Nicola Quatrano, verrà presentata giovedì 30 giugno alle 12 in Tribunale a Napoli, nei locali della Camera Penale. Ci saranno anche Biram Abeid, militante antischiavista della Mauritania, Celeste Carrano, presidente dell’Anm di Napoli, l’ex sindaco Rosa Russo Iervolino, il magistrato dell’Ossin Maria Donatella Aschettino e l’avvocato Bruno La Rosa.
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