Maroni vs Frattini: basta bombe

by Editore | 16 Giugno 2011 7:18

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Il futile Frattini, intervendo a Rimini al meeting di Cl, lamenta che «ci sia un po’ troppa gente che fa il tifo per l’abbandono nelle mani di Gheddafi di quanto rimane della Libia». Il capo-tifoso ce l’ha in casa: è il suo collega ministro Maroni che intervenendo invece al convegno di un sindacato di poliziotti, aveva rimarcato che «il parlamento Usa ha detto al presidente Obama: basta spendere soldi in Libia e il governo italiano e i governi europei dovrebbero fare la stessa cosa e mettere i soldi per sviluppare la democrazia, non per le bombe. Altrimenti continueremo ad avere immigrati, immigrati, immigrati» (quelli che il collega padano Castelli ha proposto di «mitragliare»).
Il ministro degli interni, dal suo punto di vista non ha tutti i torti. Finora l’Italia per quello che il presidente Napolitano ha definito «il naturale sviluppo» delle due risoluzioni Onu, ha speso nella guerra umanitaria di Libia 700 milioni di euro e «noi – dice Maroni – siamo gli unici a subire gli impatti negativi: sono già  20000 i profughi arrivati dalla Libia», mentre «tutti i servizi segreti non riescono a trovare Gheddafi e lui gioca tranquillo a scacchi».
Il futile Frattini insiste nella sua litania quotidiana (ormai dura da tre mesi, prima o poi ci azzeccherà ) che «in Libia dobbiamo continuare a sviluppare un’azione umanitaria per evitare stragi» (come quella denunciata ieri dalla tv libica di 12 civili uccisi su un autobus centrato in un raid aereo Nato sulla città  di Kikla, 150 km a sud-ovest di Tripoli?) e per arrivare alla mitica «soluzione politica e a un’assemblea libica di riconciliazione cui partecipino tutte le tribù ed al consolidamento del ruolo del Cnt».
Il frivolo Frattini non vuole, non ha mai voluto, lo stop dei bombardamenti umanitari (che con ogni probabilità  avranno provocato, a cose fatte, gli stessi o più morti dei gheddafiani), una soluzione negoziata della guerra civile (perché di guerra civile si tratta), lui vuole la testa di Gheddafi e la vittoria piena e incontestata del Consiglio nazionale transitorio di Bengasi.
Quello stesso Cnt che, quando sarà  governo riconosciuto di una Libia libera e nuova, si è già  detto prontissimo a riprendere e ridare vigore, come ha ricordato ieri Riccardo Noury, portavoce di Amnesty per l’Italia, «le intese siglate con Muammar Gheddadi nel 2008» in materia di «contrasto all’immigrazione» (e qui il frivolo Frattini ritorna a braccetto con il rude padano Maroni). Quello stesso Cnt che, secondo il giornale arabo al-Quds al-Arabi (inattendibile? Tifoso di Gheddafi?), è spaccato al suo interno fra un’anima islamica (maggioranza nel Consiglio) e un’anima laica (maggioranza nella leadership) sui contenuti della futura costituzione e sulla forma di governo, nonché sul ruolo della coalizione umanitaria (con i laici che chiedono un maggiore intervento della Nato che arrivi fino all’auspicato intervento a terra, boots on the ground, e gli islamici contrari). Quello stesso Cnt in cui, secondo il rapporto finale di una delegazione di esperti internazionali in materia di difesa e terrorismo guidata dal francese Eric Denacé, direttore del Centro di ricerca sull’intelligence, dopo una missione di tre settimane sia a Tripli sia a Bengasi, «i veri democratici» (all’europea, come li intendiamo noi) «sono solo una minoranza e devono coabitare con ex-fiancheggiatori di Gheddafi, con i sostenitori della monarchia e con i fautori dell’instaurazione dell’Islam radicale». Ma di tutti questi dubbi il frivolo Frattini non se ne cale.
Il riferimento fatto da Maroni agli Usa si riferiva agli ultimi sviluppi del caso Libia. Lunedì la Camera aveva votato (248 contro 163) un emendamento, presentato dal democratico Brad Sherman, al «military appropriation bill» con cui aveva proibito l’uso ulteriore di fondi federali per «le operazioni militari Usa in Libia», sulla base della legge del ’73, il «War Power Resolution», che limita i poteri del presidente di mandare truppe in aree di combattimento all’estero senza l’esplicito placet del Congresso. Mercoledì lo speaker della Camera, il repubblicano John Boehner, aveva scritto una lettera a Obama in cui gli ricordava che il limite di 60 giorni concesso al presidente per chiedere l’autorizzazione del Congresso a una guerra, più i 30 giorni successivi per ritirare le truppe, 90 giorni in tutto, scadranno domenica prossima. Dopo di che Obama, che a suo tempo ha «notificato» al Congresso la partecipazione alla crociata umanitaria ma senza chiedere il richiesto placet, sarà  formalmente fuorilegge.
Un buon pretesto per molestare il presidente, una grana per la Casa bianca. Anche se molti repubblicani (la maggioranza?) sono o erano favorevoli all’intervento in Libia, contestano il ruolo ambiguo degli Usa, che hanno delegato la guerra alla Nato e alla fervorosa accoppiata anglo-francese, finendo per non essere più né carne né pesce pur spendendo molti soldi «dei contribuenti». Ieri un gruppo bipartisan di una decina di congressisti, guidati dal democratico (e «socialista») Dennis Kucinich e dal repubblicano Walter Jones, hanno presentato a un tribunale federale di Washington una denuncia formale contro Obama per aver ordinato l’intervento in Libia senza la necessaria autorizzazione. La Casa bianca minimizza e il portavoce Jay Carey assicura che Obama non è andato oltre alla sue prerogative e che entro domani verranno presentati tutte le pezze d’appoggio giuridiche al Congresso.
Intanto la guerra in Libia continua. Raid su Tripoli e altre città , i ribelli che assicurano che «la morsa» si stringe su Tripoli. Ieri è arrivato il riconoscimento al Cnt di Panama, il primo paese latino-americano, il quindicesimo in tutto. E anche la Tunisia, fresca di rivoluzione, si dice «disponibile».

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