Marocchino fermato e affogato
Un’immersione nel fiume per far passare la sbronza, per togliere di mezzo quei fastidiosi stranieri ubriaconi che disturbano. Solo che questa volta c’è stato il morto e a Montagnana, piccolo comune della bassa padovana racchiuso in una stupenda cinta muraria medievale, la situazione si è fatta tremendamente seria. Un ragazzo marocchino di 24 anni è stato trovato senza vita e quattro carabinieri sono finiti sotto indagine. L’avrebbero costretto a buttarsi nel fiume, quasi una sorta di punizione, per poi abbandonarlo ed andarsene via.
Il ragazzo si chiamava Abderrahman Sahli, i militari l’hanno prelevato la sera del 15 maggio mentre si stava eleggendo il nuovo sindaco, la giunta è un monocolore della Lega Nord, perché durante la festa del prosciutto (il crudo dolce è la specialità della zona) avrebbe alzato il gomito e infastidito le persone. Il ragazzo è stato visto l’ultima volta mentre saliva sulla gazzella ma poi è sparito. L’ha ritrovato un contadino quasi otto giorni dopo vicino al fiume Frassine. E dall’acqua non è emerso solo il suo volto gonfio ma una storia molto più inquietante che le indagini della magistratura dovranno accertare. Quella di buttare i marocchini ubriachi nel fiume sarebbe stata una prassi. Qualcosa le vittime avevano sussurrato in giro, questi abusi erano conosciuti. Ma c’era paura. Dopo la morte di Abderrahman la diga sembra essersi rotta. Rahali El Hassane, è conosciuto in paese come «Fragolino». Ha dei problemi con il vino come succede ad altri suoi connazionali; i motivi sono tanti, anche quello di una vita che non è andata proprio come lui avrebbe sperato. Riferisce di essere stato buttato quattro volte nel fiume da questa specie di servizio di contenimento in divisa effettuato dai Carabinieri. Ogni volta ce l’ha fatta da solo, si è arrampicato sull’argine ed è tornato in paese ma per il suo amico non è andata così. È stata aperta un’inchiesta in procura a Padova, ancora da definire le ipotesi di reato ma ci potrebbe essere il sequestro di persona oltre all’omicidio colposo, nel mirino delle indagini sono finiti quattro militari, tra di loro c’è un sottoufficiale. «Fragolino» li ha riconosciuti tutti e quattro di fronte agli investigatori. L’Arma come d’abitudine quando suoi appartenenti finiscono sotto inchiesta li ha già trasferiti.
I marocchini di Montagnana e del territorio hanno deciso che è arrivato il momento di farsi vedere e hanno organizzato una manifestazione che sabato 4 giugno ha radunato circa 300 persone. La prima in questo paese da chissà quanti anni. Ora si aspetta l’arrivo della famiglia di Abderrahman. L’associazione Razzismo stop di Padova ha mediato con la Prefettura per facilitare l’arrivo dei genitori che una volta in Italia potranno nominare un avvocato. Ma sullo sfondo di questa storia c’è la popolazione di questo paese e un’indifferenza quasi totale mostrata verso questa vicenda. Mentre si sta facendo strada il seme buono di un impegno dei giovani della comunità marocchina che vogliono aprire un dialogo con gli italiani.
In un sabato mattina un po’ piovoso incontriamo Mohammed Chahid, gli amici lo chiamano «Simo», Faycal Lafnoune e Khalid Chahid. Hanno 23 e 26 anni e tanta voglia di cambiare la situazione: «Vogliamo provare a cambiare le cose e vogliamo verità e giustizia. Non possiamo stare zitti», dicono. Questi ragazzi sono arrivati in Italia da piccoli, si sentono italiani e stanno progettando qui il loro futuro. «Io voglio sposarmi e avere i miei figli qui – spiega Simo – se i nostri genitori sono venuti con l’idea di tornare a casa noi invece vogliamo rimanere». Accanto loro ci sono i rappresentanti della Sinistra Unita che alle ultime elezioni ha schierato un candidato sindaco, Roberta Di Salvatore, eletta in consiglio e un’esponente della Cgil di Montagnana. Ma tutti sono convinti che solo allargando si riuscirà a far capire il senso di questa richiesta. Per questo una delle iniziative su cui stanno ragionando è l’organizzazione di una cena aperta a tutta la cittadinanza che andrà preparata con cura e cercando di coinvolgere al massimo la popolazione. È necessario però che ci sia voglia di ascoltare, che si superi quel modello di convivenza basato sulla separazione che è la prassi da queste parti. Dove i punti di contatto sono rari. E che qualcosa non abbia funzionato neanche nella stessa comunità marocchina lo riconosce anche Mohammed «Simo»: «Neanche noi abbiamo aiutato questi ragazzi che non stanno bene». Come Abderrahman che non aveva i documenti, faceva lavori saltuari e non tornava in Marocco da sei anni. «Era alto e grosso – lo ricordano sorridendo i ragazzi – quella sera era arrivato anche secondo nella gara con il maiale sulle spalle». Prima di salire nella macchina dei carabinieri, e di sparire per sempre.
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