«Onde e maree: dal Mediterraneo l’energia rinnovabile del futuro»

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Non solo vento, sole, fiumi e calore terrestre. Se c’è una fonte «pulita» con enormi potenzialità  di produzione energetica, quella è senz’altro il mare. Onde, correnti marine e maree un giorno non lontano potrebbero produrre energia come piccole centrali atomiche, ma l’elettricità  potrebbe arrivare anche sfruttando il gradiente salino e termico degli oceani. Un settore tecnologico ancora in fase sperimentale ma su cui investono molto paesi come il Regno unito, gli Usa, la Norvegia, il Portogallo, il Giappone e il Canada. Troppo poco finanziato invece in Italia, malgrado i nostri ricercatori abbiano raggiunto traguardi significativi e riconosciuti a livello internazionale. Per questo l’Enea ha chiamato a raccolta ieri e oggi a Roma – con un’ottima tempistica, ancorché casuale – tutti i principali esperti italiani della produzione elettrica da energia marina. Il fisico Vincenzo Artale, oceanografo dell’Enea, che ha voluto fortemente il workshop sulle prospettive di sviluppo del settore nel quale oggi si confronteranno esperti italiani ed europei, non ha dubbi: «I problemi ci sono – spiega Artale – ma sono simili a quelli che vent’anni fa sembravano insormontabili per il settore eolico. La nostra ricerca nel Mediterraneo va avanti solo grazie a un finanziamento di 500 mila euro del ministero dello Sviluppo economico, con il quale stiamo mappando le coste e i mari italiani. Bisogna invece investire di più. Sfruttando le onde e le maree si potrebbero rendere autonomi dal punto di vista energetico paesi come la Scozia, che sta lavorando molto sui cosiddetti sbarramenti sottomarini».
E l’Italia, professor Artale?
Il Mediterraneo non ha certo le potenzialità  energetiche degli oceani o dei mari del Nord, ma ci sono zone ottime per provare a sfruttare le maree (che a differenza del vento hanno il pregio di essere regolari e energeticamente quantificabili), e le onde. Uno dei siti privilegiati è lo stretto di Messina, dove è già  installato un prototipo di turbina ad asse verticale chiamata Kobold (tecnologia italiana, simile alle pale eoliche ma piantato orizzontalmente nelle profondità  marine, ndr) ottimo per sfruttare le maree. Per avere un’idea delle potenzialità  basti pensare che per ottenere la stessa energia prodotta da una pala eolica di un diametro di dieci metri, nel mare ne occorre una di un metro. Altre zone promettenti sono le bocche di Bonifacio, il mare a sud della Sicilia, buona parte del Tirreno, il mar Ligure o lo stretto di Gibilterra, dove il governo spagnolo sta installando un prototipo italiano. Per trasformare invece l’energia delle onde, che nel Mediterraneo non è molto elevata, si usano dighe a cassoni chiamate Rewec3 (Reasonant wave energy converter) che potrebbero essere montate con grande profitto sotto le banchine dei porti, o serpentoni galleggianti che sfruttano il moto di oscillazione ondoso.
Quali sono in Italia gli attori principali del campo?
Noi dell’Enea stiamo mettendo a disposizione tutto il nostro know how, così come i ricercatori del Cnr. Poi ci sono università  molto attive come quella di Messina, di Reggio Calabria o di Napoli, ma è ampia anche l’esperienza degli atenei di Bologna, Padova, il Politecnico di Milano e Torino, e della società  Ponte di Archimede. Sono loro che hanno messo a punto il prototipo Kobold che – tra i tantissimi brevetti esistenti per la produzione di energia dal mare – sta ottenendo un buon successo all’estero, tanto che l’Indonesia lo sta sviluppando. Ma siccome siamo ancora agli albori di una nuova fonte tecnologica e visto che gli ingegneri nucleari ora hanno più tempo, si potrebbe intensificare la ricerca tecnologica sulle energie rinnovabili puntando a forme integrate di produzione, con piattaforme che sfruttano vento, sole e mare insieme. D’altra parte la Comunità  europea già  emette bandi espressamente sull’energia marina.
Quale impatto ambientale hanno questo tipo di tecnologie?
Vanno valutati attentamente i siti prescelti, come per l’eolico e il fotovoltaico. Ovviamente non si può impiantare una turbina a ridosso delle spiagge. Sulla fauna, invece, questo tipo di tecnologia ha un impatto bassissimo, molto più risolvibile rispetto all’eolico, per esempio. Addirittura le dighe a cassoni sono luoghi dove i pesci si aggregano. Ma siccome su questo campo di ricerca non ci sono investimenti paragonabili né all’eolico né al fotovoltaico, in Italia siamo ancora a livello direi quasi artigianale, di piccole società . Non è così nel mondo e nemmeno in Europa.


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