L’onda della disobbedienza

by Editore | 4 Giugno 2011 8:01

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Lo potremmo chiamare Referendum 2.0. Ovvero distribuito, senza un centro che domina sul tutto, costruito dal basso e capillare. Una vera e propria onda in grado di capovolgere l’asfissia politica che domina l’Italia da diversi anni, che parte dai beni più essenziali per la vita – l’acqua e l’energia – per ricostruire la partecipazione dal basso.
A una settimana dall’appuntamento del 12 e 13 giugno occorre probabilmente ristabilire l’ordine delle cose, partendo dalla vera novità  del voto referendario, contenuta nei due quesiti sulla gestione delle risorse idriche. Toccare gli interessi milionari che si nascondono dietro i nostri acquedotti era impensabile fino al 19 luglio dello scorso anno, quando davanti alla corte di Cassazione si presentarono centinaia di rappresentanti dei comitati locali per l’acqua pubblica, portando a mano un milione e quattrocentomila firme, moltiplicate per i tre quesiti proposti. Un record assoluto, com’è noto. I due quesiti sul nucleare e sul legittimo impedimento ottennero un numero notevolmente più basso di firme, nonostante fossero stati supportati dalla macchina organizzativa dell’Idv. Fukushima era ancora semplicemente un nome di una città  giapponese.
Lo spirito di questo referendum lo raccontava bene padre Alex Zanotelli in un incontro che si è tenuto ad Aprilia – città  simbolo della lotta per l’acqua pubblica – nei giorni scorsi: «E’ come se volessero privatizzare tua madre, e in questi casi serve una ribellione, una disobbedienza civile capillare, che coinvolga tutti. Come puoi tacere se qualcuno prova a privatizzare qualcosa che è parte di te?».
Ecco la parola chiave da tenere a mente: disobbedienza. Disobbediscono da cinque anni le settemila famiglie di Aprilia che ostinatamente continuano a pagare l’acqua al comune, nonostante la provincia, guidata dal Pdl, abbia imposto anni fa il passaggio della gestione alla spa Acqualatina. Dissobediscono i cittadini di Arezzo, che non hanno mai accettato gli aumenti a tre cifre imposti dieci anni fa con la cessione degli acquedotti ai privati. Disobbediscono le famiglie di Frosinone, che hanno inviato più di diecimila reclami con Acea, facendo sì che la Procura aprisse un fascicolo con l’ipotesi di truffa. E disobbediscono oggi i comitati referendari che si sono creati in quasi tutti i comuni italiani, mettendo insieme un fronte talmente vasto da essere indefinibile. «Partiti, non toccate quelle firme», sembrano dire in ogni occasione, pronti a non accettare le regole delle segreterie. Ora che il referendum è diventato un boccone ghiotto, pronto per essere usato sui tavoli più o meno scoperti della politica mainstream, un milione e quattrocentomila persone stanno girando casa per casa, piazza dopo piazza spiegando un solo concetto: l’acqua, come la democrazia, è un bene prezioso e inviolabile: è ora che torni nelle nostre mani.
Così l’appuntamento clou della campagna per i referendum, i tre giorni di chiusura, è divenuto un laboratorio del difficile rapporto tra i partiti che appoggiano i referendum e i comitati promotori. Il movimento per l’acqua ha già  scelto una mobilitazione diffusa in tutti i territori. Migliaia di iniziative nei tanti comuni coinvolti, lasciando spazio ai cittadini, per rimarcare la differenza e l’importanza di questi referendum, che non sono e non possono essere un pronunciamento su Berlusconi – sottolineano i comitati -, impostazione che rischierebbe solo di ridurre i temi dell’acqua, dell’energia e della legalità  alla semplice contingenza politica. Niente segretari di partito, di conseguenza, lasciando lo spazio alle testimonianze che parlano degli anni di lotta nascosti dietro i due quesiti sull’acqua e a quei cittadini in prima fila nella disobbedienza civile diffusa, vero motore dei referendum.
Se ha impressionato l’enorme e storico numero di firme raccolte per proporre i quesiti, la gestione della campagna referendaria meriterebbe da sola un lungo racconto. Di fronte al black out della Rai è stata la rete ad accogliere centinaia di spot autoprodotti, interviste, piccoli documentari, interventi creativi, formando un palinsesto magmatico incontrollabile. A volte basta rifare una canzone nota, cantarla in metro e filmare il tutto per ottenere centomila contatti in poche ore su youtube. O, spendendo poche decine di euro, preparare una straordinaria animazione da diffondere insieme all’invito ad andare a votare per raggiungere una fetta consistente del pubblico – sempre più stanco – dei talk show, senza dover pagar dazio da qualche parte.
Quella primavera del mediterraneo che ha già  raggiunto la Spagna qui da noi è arrivata da mesi e si prepara a esplodere. Superando tutto, in quelle accelerazioni del tempo che caratterizzano ogni piccola o grande rivoluzione. Un segnale che anche il Pd sembra alla fine aver colto, venendo letteralmente travolto dall’opposizione alle privatizzazioni che sta nascendo anche nella sua base. Le quattro urne che saranno aperte il 12 giugno potrebbero essere la vera fine della cupa epoca della seconda repubblica.

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