«Nel ’ 44 scappai dalla guerra, mi nascosi a casa del mio prof Costruisco portacarte in legno e odio i profeti di sventura»

by Editore | 6 Giugno 2011 7:29

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Mamma di Belluno, appartenente a una famiglia di pittori e di notai («è morta a 104 anni, io punto su di lei, ma è impossibile» , sorride). Papà  insegnante di italiano e latino nei licei. La guerra è il ricordo di qualche imprudenza: «Nel ’ 44, fui chiamato alle armi, ma non mi presentai. Per i renitenti era stata introdotta la pena di morte e dovetti scappare» . Il giovane Paolo Rossi in fuga, ferito a una gamba e zoppicante, trova rifugio a Perugia, in casa del prof Cappuccio, suo ex insegnante di italiano, prigioniero in un campo tedesco: «Rimasi nascosto lì per qualche mese. Un giorno, mentre giocavo a scacchi con un bambino, suonò il campanello: era un ufficiale tedesco incaricato di mettere una mina per far saltare la casa, che si trovava in uno degli ingressi a Sud della città : le macerie dovevano rallentare l’avanzata alleata. Aiutai a svuotare la casa. La signora Cappuccio mi consigliò di andare a rifugiarmi in una casa di contadini, dove c’era il fidanzato della sua donna di servizio. Il contadino non batté ciglio, e rimasi lì fino alla liberazione di Città  di Castello» . Paura? «A quell’età  si è incoscienti. Oggi ne ho un ricordo quasi gradevole: quando si vedeva il pericolo, si fuggiva su un monte. Una volta un contadino sardo che faceva il maialino arrosto mi disse: ce n’è anche per te, le orecchie però me le mangio io» . Mangiare è il titolo dell’ultimo libro di Rossi: «Il cibo è un intreccio di temi complicati: la fame, lo sciopero della fame, il cannibalismo, l’anoressia, che è una patologia contemporanea, il tentativo di manifestare il proprio dominio sul corpo» . Dopo la laurea, Rossi insegna in un liceo di Città  di Castello: «Avevo molte scolare, una delle quali l’ho sposata. Aveva 16 o 17 anni: si era sparsa la voce, falsa, che le dicevo prima le domande. Un giorno chiamai un ragazzo e gli chiesi: di che cosa vuol parlare? Di Anassimandro, rispose. Allora mi rivolsi ad Angela: mi parli di Anassimandro. Fu un modo per fugare i sospetti» . Si sposano nel ’ 51. La Signora Angela è qui, va e viene nella grande sala zeppa di quadri e di libri, secondo piano di un antico palazzo fiorentino. Nel ’ 48 Paolo Rossi a Milano diventa assistente volontario di un’altra autorità  degli studi filosofici, Antonio Banfi, vecchio amico di suo padre, morto da poco. Non ha stipendio e alloggia in una casa dello studente. Per anni lavora alla redazione dell’Enciclopedia dei Ragazzi della Mondadori. Lì conosce, tra gli altri, Elio Vittorini: «Parlava ai più giovani come fossero suoi pari, e io potevo permettermi di litigare con lui per motivi politici. Per 15 giorni stette in ospedale al capezzale del figlio Giusto, malato di tumore. Ricordo l’abbraccio all’uscita dall’ospedale: mi fece piangere, era un uomo distrutto» . Nel 1962 Paolo Rossi viene adottato dalla sorella della madre, la professoressa di matematica Elena Monti, che non voleva rassegnarsi a essere l’ultima discendente della famiglia. Paolo Rossi diventa Paolo Rossi Monti: «Chiamarsi Rossi è una fregatura, ce n’è troppi… Ma dato che erano già  usciti tre libri e diversi saggi con il cognome unico, ho continuato a pubblicare come Paolo Rossi» . A Firenze ha colleghi di grandissimo prestigio: oltre a Garin, Cesare Luporini, Delio Cantimori, Giacomo Devoto, Ernesto Ragionieri, Rosario Villari, Lanfranco Caretti. «Grandi personalità : se uno ha la fortuna di campare, vede scomparire una marea di amici. Quando arrivai a Firenze, da Bologna, Caretti mi disse: qui starai bene solo se ti comporterai come un inglese. Voleva dirmi: non sognarti di inserirti a Firenze» . Avrebbe potuto trasferirsi negli Stati Uniti, invitato a insegnare in California dalla Paul Getty Foundation, ma dopo il primo volo, la paura dell’aereo l’ha trattenuto in Europa: «Dovetti rinunciare, l’idea di attraversare l’oceano mi atterriva. Un collega americano pensava che non amassi l’America per ragioni politiche…» . Eppure, Paolo Rossi ha passato una vita a combattere contro la diffidenza per la scienza, dedicando anche innumerevoli studi alla civiltà  delle macchine: «Una volta i meccanici erano considerati esseri inferiori che lavoravano con le mani rispetto ai filosofi e ai letterati, che lavoravano di testa. Quando cominciarono a rivendicare la loro presenza nella società  intellettuale, dalla fine ’ 400, è cambiato il destino del mondo. » . Anche Rossi, a suo modo, è un meccanico: «Mio padre mi disse: se vai male a scuola, fai il falegname. Cominciai e mi piacque molto, mi regalarono un tavolo con la morsa: costruivo barche, tavolini… Adesso mi sono specializzato in saliere e in portacarte e portapenne» . C’è anche il Paolo Rossi studioso dell’ «ars memorandi» , che oggi sembra in via di estinzione, per tante ragioni: «Però in Italia è riemerso il senso dell’identità  e delle radici. Per la giornata della Memoria sono stato invitato a Città  di Castello, con un teatro strapieno e un pubblico commosso. Non sono mai stato iscritto al Pci, anche se l’ho votato varie volte. Ricordo che Amendola una volta disse: la bandiera rossa copre quella italiana quasi per intero, bisognerebbe dare più spazio al tricolore… Per fortuna, sono cambiate tante cose: da balilla eravamo convinti che dovessimo riconquistare Malta e Nizza, facendo la guerra ai paesi europei. Oggi l’Europa c’è, anche se per è stata realizzata su una terra inzuppata di sangue» . Ciò non toglie che la memoria non è il nostro forte, tanto meno per le giovani generazioni: «Certo, mi preoccupano i ragazzi che non leggono e che non sanno chi era Hitler. Ma l’Italia dà  sempre l’impressione di essere sull’orlo della guerra civile, poi si manifestano episodi che autorizzano alla speranza. Persino Almirante andò a visitare la salma di Berlinguer. Non c’è solo l’Italia dello scannamento reciproco» . Eccolo lì, lo storico delle idee: «Bacone si chiedeva: ci sono cose che possono impedirmi di disperare? Ne elencava una trentina. A me ne bastano 7 o 8. Ricordo quella madre africana che protestò esibendo un cartello: «Alle mie figlie non lo faranno» . Alludeva all’infibulazione, ed era un gesto di coraggio quasi eroico. Ricordo che intervenne Emma Bonino» . A 87 anni («la vecchiaia è una faticaccia, diceva mia madre» ), Paolo Rossi non smette di combattere contro i profeti dell’Apocalisse: «L’eccesso di speranza è pericoloso: la convinzione di marciare verso un radioso futuro è stata una grande e nefasta illusione del Novecento. Non mi piacciono quelli che credono che la storia sia una scienza, ma d’altra parte ci sono in giro tanti che vedono la scienza e la civiltà  moderna come pura decadenza, la storia come allontanamento dalla verità  e come cammino verso la dissoluzione. In quasi novant’anni ho sentito previsioni terribili sul nostro destino, ma ogni volta il mondo ha mostrato segni di riscatto» . Una visione religiosa della vita? «Sono stato religioso fino alla Prima Comunione, ma detesto gli atei giulivi, che si ritengono superiori rispetto al resto del mondo. Concordo con Jacques Monod quando diceva che la radice delle religioni è nella speranza. Una volta, l’etnologo Ernesto De Martino mi disse: a una vecchietta sovietica che ha perso due figli a Stalingrado non puoi offrire una visita alla tomba di Stalin, per consolarla: ha bisogno di credere che li rivedrà . Non me ne importa niente della prova dell’esistenza di Dio. Però, come Monod, ho questo sasso sullo stomaco: non accetto volentieri l’idea che il carnefice e la vittima scompaiano insieme nel nulla» .

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