by Editore | 5 Giugno 2011 6:23
La Convenzione del 1989 obbliga gli Stati che l’hanno ratificata ad uniformare le norme di diritto interno a quelle della Convenzione e ad attuare tutti i provvedimenti necessari ad assistere i genitori e le istituzioni nell’adempimento dei loro obblighi nei confronti dei minori. Di questi obblighi e protezioni fanno parte, tra gli altri: tutela del diritto alla vita (art. 6), diritto alla salute e alla possibilità di beneficiare del servizio sanitario (art. 24), il diritto di esprimere la propria opinione (art. 12) e ad essere informati (art. 13) e, con successive decisioni a livello Onu e Consiglio d’Europa, l’istituzione di un Garante nazionale per i diritti dell’infanzia. Ma la Convenzione parla di altri diritti, non meno fondamentali nel mondo contemporaneo: i bambini hanno diritto al nome, tramite la registrazione all’anagrafe subito dopo la nascita, nonché alla nazionalità (art.7), hanno il diritto di avere un’istruzione (art. 28 e 29), quello di giocare (art. 31) e quello di essere tutelati da tutte le forme di sfruttamento e di abuso (art. 34). .
Basterebbero queste testuali citazioni per evidenziare quanto l’Italia di oggi sia distante, se non attivamente contraria, a queste forme di protezione nei confronti dell’infanzia, non solo quella “straniera”, ma anche nei confronti dell’infanzia “nazionale” per nascita o sangue. Il progressivo allontanamento del nostro paese dagli obblighi internazionali in materia di diritti umani, infatti, è riscontrabile in ogni campo che preveda attenzione nei confronti di fasce deboli di popolazione. Ma anche l’azzeramento della scuola pubblica, della sanità per tutti, del welfare, sono violazioni della Convenzione. Ultimo, ma non per importanza, non è stata ancora attivata la figura del Garante dei diritti dell’infanzia: un disegno di legge giace in Parlamento. In occasione del 2 giugno abbiamo avuto modo di parlarne con Napolitano che, come sempre, ha colto immediatamente la portata di questa assenza. L’indifferenza nei confronti dei minori, come la violenza in aumento su di loro e sulle donne, ci dice dunque di una politica non solo distratta ma ostile alla vita, al futuro stesso che vede nell’infanzia un simbolo potente della ciclicità dell’esistenza contro l’eterno presente del giovanilismo liberista. È questo il paradigma che dobbiamo radicalmente rovesciare.
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