L’isterico Brunetta insiste: ridirei tutto

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Una valanga di critiche e contestazioni si abbatte sul ministro Brunetta, autore l’altroieri di una infelicissima (e tristissima) frase contro i precari: «Siete il peggio dell’Italia», aveva detto a un gruppo di lavoratori della pubblica amministrazione che avevano provato a porgli una domanda nel corso di un convegno. Appena l’«intervistatrice» si è qualificata come «precaria», il ministro ha compreso che non era una embedded dei suoi lacchè e ha battuto una velocissima ritirata lasciando il palco, pronunciando l’orrida sentenza. Ha poi schivato uno striscione tenuto in piedi da una decina di precari, si è infilato nella sua auto blu, e ha rischiato tra l’altro (come se non bastasse) di investire un lavoratore che gli si era posto davanti.
Ma l’accaduto lo hanno già  visto quasi tutti su Internet, grazie a un video postato sui principali siti di informazione e che è stato rilanciato e moltiplicato ieri sui social network. E proprio su Facebook è arrivata la giusta punizione per il ministro pasticcione e dall’insulto facile: alle 16,15 erano già  1300 le contestazioni, le proteste e gli attacchi pesanti postati sulla pagina personale del ministro, a fronte di solo 70 «mi piace». Una debacle che conferma, dopo le amministrative e i referendum (si parva licet), quanto sia a terra il consenso del governo, e soprattutto quello del «miracoloso» riformatore della pubblica amministrazione, che miracoli non ha mai fatto, riuscendo solo ad accumulare chiacchiere su chiacchiere e incassando umilianti batoste come la sconfitta a Venezia.
Ma ieri Brunetta ha insistito, non ha chiesto scusa e anzi ha rilanciato, caricando i precari di nuovi insulti: «Ridirei tutto e lo rifarei – ha detto l’irruento parlando a Radio24 – L’Italia peggiore è quella di quei signori che irrompono nei convegni, nelle assemblee e con le loro telecamerine bloccano i lavori, le discussioni e i comitati di redazione e si riprendono per i loro desideri si appagamento mediatico». «È stato un agguato mediatico costruito per avere immagini e voce, un agguato programmato – ha rincarato il ministro – La rete usata come un manganello mediatico. L’Italia peggiore è quella che si disinteressa della concretezza dei problemi e della realtà : ho fatto più io per i precari della pubblica amministrazione che tutti i miei predecessori». E infine, una chicca: «Basta con la retorica del precariato – ha concluso – ci sono 4 milioni di stranieri che vengono a fare i lavori che gli italiani non vogliono fare. Se si vuole lavorare, si vada alle 5 di mattina ai mercati generali a scaricare le cassette». Forse potrebbe farlo lui, con migliori risultati.
Opposizione e sindacati si scatenano: «Nelle espressioni estreme di Brunetta – dice il numero uno del Pd, Pierluigi Bersani – è evidente la profonda incomprensione di quanto sta avvenendo nella società , e c’è da preoccuparsi perchè dal governo non è arrivata alcuna autocritica sulla sua incapacità  di agire davanti alla più grave crisi economica dal dopoguerra. Ha divorziato dalla realtà ». Il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, sostiene che il ministro, «se avesse un minimo senso delle istituzioni, dovrebbe dimettersi», mentre il presidente della Regione Puglia e leader di Sel, Nichi Vendola, parla di «comportamento inaccettabile di Brunetta». Anche l’Idv chiede le dimissioni, perché il ministro sarebbe «indegno del suo ruolo». La Cgil afferma che le dichiarazioni del ministro sono un «atto volgare che offende tutti», e non solo i precari, mentre il Nidil, il sindacato degli «atipici» della confederazione, sottolinea come questi «mandino avanti buona parte della pubblica amministrazione».
Secondo i dati del Conto annuale i precari in effetti sono una parte consistente dei dipendenti pubblici, con oltre 240 mila contratti flessibili (oltre ai 200 mila della scuola), che si aggiungono agli oltre tre milioni di dipendenti pubblici a tempo indeterminato. Sui 240 mila travet precari, nel 2011 la manovra correttiva dell’anno scorso ha previsto un taglio del 50%. Per oggi è previsto un sit-in del comitato «Il nostro tempo è adesso», alle 18 davanti al ministero della Funzione pubblica. Il Consiglio di Stato boccia Mariastella Gelmini e dà  ragione invece al Codacons dichiarando ammissibile la class action contro le «classi pollaio» che i tagli della ministra hanno prodotto nelle scuole. La prima class action italiana contro la pubblica amministrazione era già  stata accolta dal Tar e ora, secondo il Codacons, il Miur «dovrà  obbligatoriamente emanare il piano di edilizia scolastica come stabilito dalle leggi vigenti. Ma mentre i giudici bacchettano il ministro, la Gelmini continua ad effettuare tagli all’organico, con conseguenze dirette sul sovraffollamento delle aule e sul precariato». Che l’Italia sia tornata alle «classi pollaio», è una realtà  che la ministra non vuole riconoscere sostenendo che si tratta di pochi casi visto che le classi con un numero di alunni pari o superiore a 30 – ha più volte ripetuto il Miur – sono appena lo 0,4% del totale che comunque equivale, come fa notare l’Udc, a 1.500 classi per un totale di 45 mila studenti. «Siamo ormai vicini al collasso della scuola pubblica – ha commentato il segretario Flc Cgil, Mimmo Pantaleo – Si mette in discussione ogni giorno la sicurezza e il diritto di alunni e personale ad avere a disposizione spazi vitali per potere insegnare e apprendere meglio. La ministra Gelmini dovrebbe vergognarsi per i colpi devastanti che ha inferto con i tagli alla scuola pubblica». Nella quale lavorano, va ricordato al ministro Brunetta, circa 200 mila precari.


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