«Israele non è le sue armi. Chi lo dice ci porta al disastro»

by Sergio Segio | 7 Giugno 2011 9:28

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L’altro Israele alza la voce, scende in strada e si ribella: «Dovrebbe essere chiaro a tutti l’inconciliabilità  tra democrazia e oppressione esercitata contro i palestinesi. I governanti d’Israele hanno solo un disegno in testa e lo perseguono con ogni loro atto: il disegno del Grande Israele. Ne faranno un ghetto atomico in guerra con il mondo». L’altro Israele, quello che l’altra sera ha dato vita a una manifestazione di massa conclusasi in piazza Yitzhak Rabin, nel cuore di Tel Aviv, si riconosce nelle affermazioni di Shulamit Aloni, fondatrice di «Gush Shalom» (Pace adesso). «Chi persegue la colonizzazione dei Territori palestinesi occupati, chi opprime un altro popolo afferma Aloni coltiva l’illusione che la sicurezza d’Israele possa reggersi sulla forza delle armi. Ma questa è una illusione che ha già  prodotto disastri e altri ne provocherà  ancora, se il mondo non farà  sentire la sua voce di protesta. A cui deve unirsi l’Israele che non accetta di essere complice di questi crimini».
Shulamit Aloni è una delle venti personalità  israeliane tra cui l’ex presidente della Knesset, Avraham Burg, il premio Nobel Daniel Kahneman, l’ex presidente dell’Accademia delle Scienze di Israele Menahem Yaari che hanno firmato un appello ai leader europei affinché appoggino la richiesta del riconoscimento di uno Stato palestinese indipendente sulla base del confini del 1967, quando verrà  presentata a settembre alle Nazioni Unite. Il nostro colloquio parte da qui.
Qual è il senso di questo appello e delle mobilitazioni di piazza che ne sono seguite? «È l’affermazione di un concetto fondamentale che rappresenta il vero discrimine oggi…».
Quale sarebbe questo concetto?
«La pace, una pace giusta, fondata sul principio di “due popoli, due Stati”, non è una concessione che Israele fa al “Nemico”, e neanche un atto di giustizia. È semmai un sano atto di “egoismo”…».
In che senso? «Nel senso che solo riconoscendo ai palestinesi il loro diritto a vivere da donne e uomini liberi in uno Stato indipendente, integro territorialmente, solo così Israele potrà  difendere il bene più prezioso: la sua democrazia. Perché dovrebbe essere chiaro a tutti l’inconciliabilità  tra democrazia e oppressione esercitata contro i palestinesi. Non c’è democrazia in uno Stato che impone a un altro popolo un regime di apartheid. Da qui nasce l’appello e le mobilitazioni che l’hanno seguito. Il passaggio chiave è questo: come cittadini israeliani dichiariamo che se e quando la Nazione palestinese dichiarerà  uno Stato sovrano e indipendente, che vivrà  a fianco di Israele in pace e sicurezza, appoggeremo questa dichiarazione e riconosceremo uno Stato palestinese basato sui confini del 1967, e chiediamo alle Nazioni del mondo di dichiarare la loro volontà  a riconoscere uno Stato palestinese indipendente basato su questi principi».
Il presidente Usa, Barack Obama, non sembra essere di questo avviso… «Rispetto la sua posizione e ho anche apprezzato alcuni passaggi del suo recente discorso in cui ha fatto riferimento ai confini del ‘67. Ma il presidente Obama sa bene che gli appelli alla ragionevolezza rivolti a più riprese agli attuali governanti d’Israele sono puntualmente caduti nel vuoto. Per questo occorre cambiare registro, e dimostrare a questi oltranzisti che si è capaci di dire basta. Se non ora, quando?».
La destra israeliana non ha nascosto il suo scetticismo, se non la sua contrarietà , verso le rivolte che stanno scuotendo il mondo arabo…
«Il mio atteggiamento, e per fortuna non sono la sola a pensarlo, è diametralmente opposto: la “primavera araba” può avere ricadute importanti per l’intera regione e anche per Israele. In Piazza Tahrir, il cuore della rivoluzione egiziana, non ho visto bruciare una bandiera israeliana. E questo è un segnale di straordinaria importanza che noi israeliani non dovremmo sottovalutare. Io sono con loro, e non sento minimamente nostalgia per i raìs che hanno spazzato via dalla scena».
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Chi è
La leader storica dei pacifisti israeliani

Scrittrice, combattente nella guerra d’Indipendenza, fondatrice di «Gush Shalom» (Pace Adesso), parlamentare per diverse legislature, è stata più volte ministra nei governi laburisti guidati da Yitzhak Rabin e Shimon Peres. Per le sue battaglie democratiche è stata minacciata di morte dall’ultradestra israeliana.

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