by Editore | 26 Giugno 2011 7:24
Anche il calcio abbandona Muhammar Gheddafi. Come con Milosevic in Serbia, con Saddam Hussein in Iraq, quando sportivi e calciatori abbandonano il ruolo di valletti di regime e passano con l’altra squadra, la partita è persa. Sta accadendo anche a Gheddafi, e vedremo perché la fuga di 17 calciatori della nazionale e della serie A libica ha un significato militare negativo per Gheddafi.
I diciassette si sono presentati nelle ultime ore in un alberghetto di Jadu, un paesone delle montagne Nafusa, la regione delle montagne occidentali alle spalle di Tripoli verso il confine tunisino. Fra i 17 ci sono il portiere della nazionale Juma Gtat, altri tre giocatori della selezione, e soprattutto l’allenatore di uno dei due club di Tripoli, Adel Bin Issa che guidava l’al Ahli. Gtat e Bin Issa hanno presentato il gruppo a un giornalista della Bbc che li ha incontrati nell’albergo di Jadu. Nella sua camera Juma, il portiere, si inventa un messaggio politico da lanciare al colonnello che fino a ieri terrorizzava un paese intero, calciatori compresi: «Io dico a Gheddafi di andarsene, di lasciarci in pace per poter creare una Libia libera. In effetti vorrei che lasciasse anche questo mondo, ma vedremo…».
Anche in Libia, come sempre più in tutta l’Africa, il calcio ha conquistato una popolarità e gioca un ruolo con la politica e gli affari che ormai hanno cancellato il fatto sportivo. A Tripoli l’altra grande squadra, l’Ittihad, è sotto il controllo di Saadi Gheddafi, il figlio del leader che aveva provato l’avventura di calciatore in Italia affidandosi alle cure commerciali di Luciano Gaucci. Ninì Occhipinti, un trainer italiano, aveva allenato l’Ittihad prima di Donadoni, «ma io guidai la squadra nel 2002-2003, prima che passasse sotto il controllo del figlio di Gheddafi». Occhipinti non fa nessuna valutazione politica, «ma certo il controllo dei Gheddafi sul calcio era totale: per esempio Saadi per gelosia non volle che uno dei giocatori più bravi, Tarek Tajeb, passasse al Genova che era interessato a comprarlo. E il contratto non si fece». Il sistema Gheddafi, la cricca politica affaristica che negli ultimi 15 anni aveva accentuato la gestione mafioso-commerciale della Libia, aveva scelto il calcio come uno degli strumenti per accrescere la sua sfera di controllo del paese: «Al tempo in cui Saadi si occupava di calcio, Saif el Islam che oggi viene considerato l’erede del colonnello, si dedicava alla pittura», dice Ninì Occhipinti. Oggi l’Ittihad fornisce i suoi tifosi agli organizzatori politici che mandano giovani e donne in strada a manifestare per il regime nei giorni dei bombardamenti Nato: con un tariffario ben preciso, i tifosi dell’Ittihad manifestano sulla Piazza verde così come tifavano per la squadra del figlio del colonnello.
Ma la defezione dei 17 calciatori conferma anche un altro elemento: le Nafusa Mountains sono diventate una vera e propria spina nel fianco di Gheddafi. È la regione più vicina a Tripoli, dove Gheddafi si è asserragliato con i suoi fedelissimi, e nonostante i ribelli siano un gruppo improvvisato e male armato come i loro compagni di Bengasi, la Montagna occidentale ormai è per buona parte sotto il loro controllo. Nella zona hanno le loro basi i capi ribelli che ormai spingono le loro staffette fino dentro Tripoli, dove stanno organizzando la resistenza armata. Secondo notizie di più fonti, i “ribelli delle montagne” hanno fatto entrare carichi di armi a Tripoli, hanno preso contatti con nuclei di oppositori a Gheddafi dentro la città , hanno contatti con capi e capetti della polizia e degli altri apparati di sicurezza gheddafiani che al momento opportuno abbandoneranno il regime. La defezione dei calciatori, quindi, è solo la spia di una manovra militare sempre più soffocante per il colonnello.
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