L’edilizia è ferma, il governo pure. Ma intanto pensa agli appalti

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L’edilizia va come va, cioè male. E il governo ne approfitta per “semplificare” a modo suo con l’alibi di dare una spinta al mercato. L’ultimo intervento riguarda gli appalti pubblici: nel decreto Sviluppodi recente approvazione alla Camera viene innalzata a un milione di euro (da 500mila) la cifra entro la quale gli appalti possono essere affidati senza gara. Con le conseguenze che si possono immaginare a cominciare dai favoritismi ma anche dalla minore possibilità  di monitoraggio e quindi regolarità  che si perdono nella catena dei subappalti, evasione, lavoro nero, insicurezza. «Rischiamo la sottrazione dell’80% degli appalti pubblici dal mercato, perché questo significa innalzare la soglia a quel livello» denuncia Walter Schiavella segretario della Fillea-Cgil che ieri hadiffuso le conclusioni del suo Osservatorio sulle grandi imprese delle costruzioni.

DENTRO E FUORI La sintesi non è delle migliori: le costruzioni ristagnano in Italia mentre all’estero le grandi aziende vanno bene tanto che il fatturato estero dei grandi gruppi in cinque anni è quasi raddoppiato passando dal 19,6% del 2004 al 37% del 2009. Un’espansione che tuttavia non cancella il momento di estrema debolezza che le costruzioni vivono da noi e che nel 2009 si è tradotto in una perdita del9.3%frenando la corsa vissuta fino a quella data. Sono di ieri gli ultimi dati Istat: ad aprile la produzione nelle costruzioni è cresciuta dello 0,8% su marzo mentre su base annua si registra un calo dell’1,1%. L’Istat precisa che il dato tendenziale grezzo ad aprile ha segnato una diminuzione del 4,5%. Inoltre, guardando alla media del trimestre febbraio-aprile, la variazione congiunturale è risultata nulla. «Siamo in mezzo a una “tempesta perfetta” – commenta Mauro Livi della segreteria Fillea – Non si fanno più grandi lavori, mentre l’edilizia residenziale che per molti anni ha tirato ora è di fatto ferma». In tre anni si sono persi 300mila posti di lavoro e migliaia di imprese hanno chiuso, inoltre la pubblica amministrazione non ha le risorse per nuovi appalti «e chi ha i conti in ordine nonpuò pagare i lavori già  fatti per il patto di stabilità  ». L’edilizia e le costruzioni, rappresentano da sempre nella crisi, un fattore anticiclico. Elemento che non è stato tenuto in sufficiente considerazione dal governo nella “gestione” della crisi. «Sindacati e grandi imprese hanno scelto insieme la strada per uscire dalla crisi con le parole d’ordine qualità , sostenibilità  e legalità , ma non sono riusciti ad influenzare il decisore politico», aggiunge Schiavella, riconoscendo ai primi 50 gruppi dell’edilizia solidità  finanziaria e progressi nella responsabilità  sociale. Aspetti positivi e importanti ma che da soli non bastano. Urge una nuova politica industriale, altrimenti «la crisi rischia di esasperarsi ».


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