by Editore | 16 Giugno 2011 6:19
O c’è ancora qualcuno che crede che alla lunga possano sottrarsi a una sorte analoga gli altri paesi europei che si trovano più o meno nella stessa posizione della Grecia, a meno di una revisione radicale del “patto di stabilità “? E c’è ancora qualcuno che pensa che in un contesto simile l’economia italiana possa tornare a crescere, realizzando un avanzo primario sufficiente a riportare il suo debito al 60 per cento del Pil? E poi, di che crescita stiamo parlando? Di una crescita del Pil, cioè contabile, per soddisfare le società di rating, interamente controllate dai big della finanza internazionale.
Quella stessa finanza che – dopo aver mandato in rovina milioni di clienti irretiti da mutui fasulli, di risparmiatori ingannati da titoli di carta straccia, di imprese rimaste senza credito perché le banche continuano a investire sui derivati – sta ora scommettendo sul fallimento di quegli Stati che si sono svenati per salvarla, svenando a loro volta i propri cittadini.
E ancora, è forse possibile affrontare temi di ampio respiro – come il dibattito sul reddito di cittadinanza (su cui si appena svolto a Roma un incontro promosso dal Basic Income Network); o il finanziamento di scuola, università e ricerca; o un piano nazionale di lavori pubblici finalizzato alla manutenzione del territorio, degli edifici pubblici e di quelli dismessi (e non alle “grandi opere”), e molte altre cose ancora – ipotizzando un semplice spostamento da una posta di bilancio a un’altra di fondi in gran parte “virtuali”, cioè inesistenti, e senza venir meno al patto di stabilità dell’Unione Europea (quello di cui si fa forte, e che rende forte, Tremonti)?
Il dibattito sul ritorno alla crescita, imperativo categorico di tutto l’establishment economico, politico e sindacale del paese – ma anche del resto del mondo – e che ha coinvolto anche, su questo giornale, Valentino Parlato e Pierluigi Ciocca, lascia perplessi.
Proprio dall’esperienza di quel giorno vogliamo ripartire, dalla rete di rapporti con i movimenti, le associazioni e i soggetti della società civile che si sono incontrati in piazza San Giovanni a Roma. Quella manifestazione nasce da Pomigliano, dallo scatto di dignità dei lavoratori del Gian Battista Vico che si sono rifiutati di sottostare al ricatto della Fiat che chiedeva loro di rinunciare ai diritti, altrimenti Marchionne avrebbe chiuso la fabbrica. Con il loro straordinario atto di coraggio, nel nostro Paese si è tornati a parlare delle condizioni di chi lavora, di democrazia e rappresentanza, di contratto come elemento di tutela e solidarietà generali. E questa attenzione è cresciuta ancora grazie alla battaglia contro i tre licenziamenti di Melfi e a quella delle lavoratrici e dei lavoratori di Mirafiori. Si è affermata la consapevolezza che quella battaglia non riguardasse solo i dipendenti della Fiat, o l’insieme dei metalmeccanici. Nel frattempo sono scese in piazza le donne, gli studenti, i precari e tanti altri, sono cresciuti i movimenti per l’acqua e contro il nucleare. L’impegno per la tutela dei beni comuni si è fatto strada insieme all’idea che si può dire di no, perché un altro modello di sviluppo e di relazioni tra le persone è possibile, che la competizione non si deve giocare a danno delle condizioni di lavoro. Le conquiste strappate con le lotte del Novecento sono costantemente sotto attacco, il diritto di sciopero, che quelle conquiste ha consentito, verrebbe cancellato qualora passasse il disegno della Fiat.
Per questo faremo una Festa che racconti la storia delle lotte della Fiom e, contemporaneamente, analizzi la situazione attuale proponendo risposte alternative, una via diversa di uscita dalla crisi che non riproponga la stessa filosofia e persino le stesse ragioni che l’hanno provocata. Abbiamo invitato tanti ospiti a dare il loro contributo su come difendere il contratto nazionale, le leggi e la Costituzione. E non potevamo, in questo contesto, non affrontare il tema della libertà di informazione. Abbiamo chiesto a Michele Santoro di organizzare liberamente una serata sui temi a lui cari. La risposta è stata entusiasta e, dopo di lui, hanno dato l’adesione convinta i suoi tanti ospiti. La Festa si chiama «Signori, entra il lavoro». Santoro ha ripreso questo titolo e ha aggiunto «Tutti in piedi». «Tutti in piedi» per il rispetto del lavoro e dei lavoratori, che siano metalmeccanici o giornalisti, «Tutti in piedi» per la libertà di espressione e di scelta dei propri rappresentanti, che siano politici o sindacali, «Tutti in piedi» per la difesa dei beni comuni. Vi aspettiamo a Bologna dal 16 al 19 giugno e a Milano dal 24 al 26.
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