Le nuove regole della buona politica

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Se vi fermate a pensarci vedrete che il filo dei mali di una certa politica italiana è uno solo. È la nefasta e interessata confusione fra autonomia e indifferenza della politica rispetto all’etica. L’autonomia della politica è una scoperta (sacrosanta) della modernità , ma è resa possibile dalla comprensione del fatto che l’ordine sociale è un bene medio e non un bene ultimo, un mezzo e non un fine. Fine e bene ultimo è la libera fioritura degli individui, nel rispetto reciproco della loro pari dignità  e dei loro eguali diritti. La politica è l’arte di governare la convivenza in modo che questa fioritura diventi sempre meno impossibile a ciascuno e a tutti. Dunque la sua autonomia è legata alla sua natura di mezzo e non di fine: come un’arma che bisogna saper maneggiare secondo le sue regole. Proprio per questo il maneggio non può essere indifferente al fine, dunque alle condizioni per realizzarlo. Saper maneggiare la pistola (autonomia) non basta, bisogna maneggiarla a difesa della giustizia nella libertà  (non indifferenza). Separate queste due cose e avrete i nostri mali: o la rapina della cosa pubblica (della ricchezza, del nutrimento, della disciplina, della verità  e della libertà  dovuti a ognuno per poter vivere da uomo libero e soggetto morale responsabile) oppure la subordinazione del fine al mezzo, della buona politica alla logica degli apparati, all’autoriproduzione dei partiti e di tutte le altre consorterie.
(…) Vorrei allora proporre un’ultima riflessione. L’ultimo cinquantennio ha portato gigantesche novità  in Europa e nel mondo. Cito una recente pagina di Gustavo Zagrebelsky: «Il diritto costituzionale, ormai si pratica e si studia al di là  delle frontiere nazionali. I grandi princìpi costituzionali abbracciano ormai tutto il mondo. I beni che essi proteggono, come la vita, la dignità  delle persone e la loro libertà , l’ambiente, la sopravvivenza della specie umana eccetera ormai sono senza confini. La Repubblica è ormai sulla via di una res publica universalis, in cui la violazione dei suoi beni ha ripercussione sull’umanità  tutta intera. I princìpi delle Costituzioni nazionali tendono ad avvicinarsi, anche attraverso l’interpretazione delle Corti costituzionali e supreme, che sempre più intrecciano le loro giurisprudenze».
Ed ecco la riflessione: se un partito è, al meglio delle sue possibilità , uno strumento destinato a servire una certa concezione del bene pubblico, che bisogno c’è più, almeno in linea di tendenza, dei partiti (in quanto apparati, e non semplici movimenti di idee)? Infatti, restituita agli individui l’ultima responsabilità  nella ricerca del bene ultimo delle loro proprie vite, respinta, si spera, ogni residua pretesa di partiti o Chiese di sostituirsi alle persone, che sono gli unici soggetti razionali e morali, e conculcarne l’autonomia: che cosa sia il bene pubblico non è una questione soggetta a diverse «concezioni», ma una disciplina di diritti e doveri scritta in quei programmi per società  giuste che sono le Costituzioni.
Si dirà  che diversi individui e diversi gruppi hanno diverse priorità  nella realizzazione di quei programmi. Indubbiamente: e tuttavia, se tutti riconosciamo i princìpi costituzionali ultimi, allora l’agone politico sulle priorità  dovrà  svolgersi all’interno dello spazio delle ragioni istituito da quei princìpi: e non ogni opinione sarà  egualmente legittima. E questo toglie molto lavoro ai partiti, che per tutta la durata della «lunga transizione» italiana, ancora inconclusa, oltre la partitocrazia, hanno vissuto, a partire dagli anni Ottanta, di discutibili tentativi di riforma costituzionale, dal «federalismo» alla «giustizia», alle riforme delle leggi elettorali. Avrà  forse avuto ragione Simone Weil quando scriveva che assai meno nocivi dei partiti sono i circoli di opinione, oggi diremmo i movimenti di società  civile, che non legano la mente e la ragione pratica dei loro simpatizzanti – una risorsa oggi tanto necessaria – e non creano aspirazioni di carriera.
(…) Se si fa un po’ come si è fatto a Milano, non ci sarà  alcun bisogno di alleanze e accordi ufficiali perché emerga spontaneamente, sulla base delle idee proposte, una convergenza di consensi dal basso, tanto più estesa quanto più convincenti, e chiari dal punto di vista delle libertà  civili e della laicità  dello Stato, saranno i progetti di rinnovamento: e devono essere allora progetti capaci di riaccendere l’amore per la nostra eredità  comune, per tutta la bellezza indifesa perché gratuita, perché non ancora comprata, che fa le nostre vite degne di essere vissute. Di riaccendere il senso della comune responsabilità  che abbiamo per il futuro dei nostri figli, per le nostre fonti di rinnovamento spirituale, per gli alimenti della nostra cultura, delle nostre fedi, dei nostri amori, della nostra sofferenza, della nostra pietà . Infine, questi progetti saranno tanto più convincenti quanto più spazio lasceranno all’energia morale e civile delle persone, soprattutto giovani.


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