Le mie foglie di limone sono un romanzo sull’impunità  del male

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Mercè Rodoreda, scrittrice catalana per la quale provo una vera e propria venerazione, diceva: «Un romanzo si fa con una grande quantità  di intuizioni, con una discreta quantità  di elementi imponderabili, con agonie e risurrezioni dell’anima, con esaltazioni, disinganni, con riserve di memoria involontaria… tutta un’alchimia».

Quali venti portano il romanzo che devo scrivere? Perché questo e non un altro? A volte bisogna aspettare molto tempo prima che ciò che abbiamo visto, sentito o provato meriti di essere raccontato. È quanto mi è successo con il romanzo che ha fatto sì che oggi condivida questi momenti con voi. Sto parlando del Profumo delle foglie di limone, che in Spagna s’intitola Lo que esconde tu nombre. Nel Profumo delle foglie di limone la realtà  è storica, ma quello che succede ai personaggi è inventato. Essi sono ispirati a persone vere come Aribert Heim, detto il Macellaio di Mauthausen o Dottor Morte. È l’unico personaggio che, nel romanzo, mantiene il suo vero nome, senza cambiamenti, perché è una di quelle terribili figure del nazismo che, nonostante la statura imponente e i tratti spigolosi, è riuscita a camuffarsi, non farsi notare, scappare, sfuggirci e a non rendere conto delle sue azioni. Perché è un personaggio che, nonostante le atrocità  che ha commesso, è riuscito a trovare qualcuno da qualche parte disposto a proteggerlo, perché rappresenta l’impunità  con cui si può commettere qualunque barbarie in questo mondo senza pagarne il fio. Adesso qualcuno penserà : dice di essere una scrittrice del presente e scrive un romanzo in cui ci sono i nazisti. E avrebbe ragione se i miei personaggi fossero giovani ariani in uniforme usciti dai libri di storia. Ma non è così: i nazisti del mio romanzo appartengono al presente e riguardano soprattutto noi spagnoli. Sono vecchi e vivono sotto mentite spoglie tra di noi, indossando la maschera della normalità . Sono tratti dalla realtà  e per documentarmi non ho dovuto far altro che ricordare e chiedere alle persone che ne hanno conosciuto qualcuno. Naturalmente ho anche letto dei libri sull’argomento. A far sì che mi lasciassi coinvolgere dall’avventura che Julià¡n e Sandra vivono per svelarci la vera identità  di Fred e Karin Christensen e gli altri mostri della loro organizzazione, però, è stato un episodio che risale all’inizio degli anni Ottanta. In quel periodo mi trasferii a Denia, sulla Costa Blanca. Ero più giovane di Sandra, la protagonista del romanzo. Come lei ero stata trascinata lì dai miei problemi personali e, come lei, ero rimasta incinta da poco. Vivevo a pochi passi dal mare, nella zona di Les Rotes, in una bella casetta allegra. C’era anche un giardino dall’aspetto selvatico con qualche arancio e limone, che profumava di zagare. Insegnavo letteratura per vivere e, per il resto del tempo, passeggiavo sulla spiaggia, leggevo e scrivevo. Il paradiso. Dietro di me avevo lasciato Madrid con il suo asfalto e la necessità  di uscire tutte le sere se non volevi perderti la Movida madrileà±a, un movimento culturale e libertario che segnò gli anni Ottanta e la transizione democratica. Io me lo persi, ma scoprii altre cose.
Scoprii che i Bremers Park Bungalows che vedevo durante le mie passeggiate per Les Rotes appartenevano a un ufficiale delle SS, membro della scorta di Hitler, che si chiamava Gerhard Bremer. Bremer (un suo figlio vive ancora in paese) non si nascondeva: te lo ritrovavi davanti passeggiando per strada o alle feste di paese, le Fallas. Presenziava ai matrimoni dei suoi dipendenti, alle prime comunioni, ai battesimi. Aveva la fama di bonaccione. Sua moglie Almut era nota per la sua bellezza. Non nascondeva il suo passato e organizzava feste nel suo albergo per celebrare il compleanno di Hitler indossando l’alta uniforme. Ci sono ancora persone che possono testimoniarlo: un giardiniere, dei musicisti che rallegravano le sue feste (e sono loro grata per le generose confidenze che mi hanno fatto). Ora è sepolto nel cimitero di Denia, vicino all’ex comandante delle SS Anton Galler e alla moglie di lui, Elfe. Galler, come ricorderete, partecipò al massacro nel paese italiano di Sant’Anna, dove morirono 400 civili, perlopiù donne e bambini. Galler però era più discreto di Bremer e nessuno dei suoi vicini sospettava che quell’anziano che portava a spasso il cane tutte le mattine fosse un criminale. E in una situazione così strana, la cosa che mi sembrò più strana era che queste persone fossero in un certo modo invisibili per la popolazione locale. Né Bremer né gli altri contavano per un gruppo di persone in generale molto progressista, composto da tanti professori, studenti e artisti della zona, forse perché eravamo occupati a ubriacarci della libertà  appena riconquistata. Il paese e i nazisti sembravano vivere in mondi paralleli. Però io, che ero appena arrivata, li vedevo eccome, e da quel momento in poi le notizie riguardanti i cacciatori di nazisti e le estradizioni di quegli esseri in bianco e nero smisero di essermi indifferenti. Possiamo dire che mi ritrovai faccia a faccia con la storia, con i personaggi che vedevo nei documentari, come succede a Sandra nel mio romanzo. Scoprii che quella vecchia storia dell’Olocausto non era poi così vecchia.
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale sono passati per quel grazioso paesino di mare, al calore del franchismo, il magnate Johannes Bernhard (potente mediatore con il Terzo Reich a cui Franco regalò una villa in zona), Martin Bormann, mano destra di Hitler, Otto Skorzeny con la sua profonda cicatrice (è sepolto a Madrid), Otto Remer, i già  citati Bremer e Galler. Nel 2005 vi si cercarono le tracce della presenza del Macellaio di Mauthausen, che al campo condusse esperimenti su alcuni dei 7000 repubblicani spagnoli reclusi in quelle baracche. In effetti si chiamava il Campo degli spagnoli. E molti altri nazisti hanno goduto di una pensione dorata sulle coste spagnole.


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