Le crepe dell’asse padano

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Il ministro Giulio Tremonti ha invitato alla «prudenza» e ha detto che non si possono tagliare le tasse ricorrendo al deficit. Parlava ai Giovani Industriali ma il destinatario era indubitabilmente l’inquilino di Palazzo Chigi. Ed è quindi ormai evidente che il derby Berlusconi-Tremonti paralizza l’azione di governo, produce un continuo cortocircuito comunicativo che non facilita il rapporto tra il centrodestra e il suo elettorato. Come del resto dimostra ampiamente il risultato delle amministrative che ha visto per la prima volta allentarsi il consenso di settori importanti del mondo delle imprese, del lavoro autonomo, del popolo delle partite Iva. Persino la Lega che pure aveva fatto della chiarezza del messaggio politico un punto di forza della sua azione sta smarrendo il bandolo della matassa. Il continuo rimando all’ormai prossimo raduno di Pontida e agli umori della base cela l’indecisione del gruppo dirigente, che in poche settimane ha bruciato anche il successo di immagine legato all’approvazione del federalismo fiscale. Non è un caso che l’edizione di ieri della Padania si aprisse con un’intervista lenzuolo al senatore Massimo Garavaglia incaricato di «fare il tagliando al governo» ed esplicito nel denunciare «la mancanza di un’azione organica di sostegno al mondo produttivo » . E soprattutto è politicamente significativo il contropiede di Roberto Maroni che ieri ha voluto correggere il collega dell’Economia invitando «al coraggio» piuttosto che alla prudenza. (È la prima volta che dal gruppo dirigente del Carroccio arriva un altolà  esplicito a SuperGiulio). Il derby Berlusconi-Tremonti rischia di diventare un calderone che attira tutti i motivi di polemica, persino l’uso dei servizi e la gestione della Rai. Il Paese assiste e in qualche misura resta attonito. Sia chiaro: nessuno può volere che l’Italia diventi un Paese a rischio e che la sua salute finanziaria sia assimilata alle difficoltà  in cui versano altri due Paesi mediterranei, la Grecia e la Spagna. La stabilità  dei conti pubblici è un pre-requisito e di conseguenza l’impegno per comprimere la spesa va continuato nei termini e nei tempi pattuiti con Bruxelles. Laddove ancora esistono sprechi, incoerenze, duplicazioni, accordi collusivi il bisturi deve colpire impietoso senza risparmiare le Province, gli enti territoriali e i costi della politica. Invece continuare sulla strada dei tagli uniformi, come ancora ieri Tremonti ha sostenuto a Santa Margherita Ligure, è un errore che forse non possiamo più permetterci. Perseverare sarebbe diabolico. Proprio da una delle commissioni tecniche istituite per le riforma fiscale, quella guidata da uno studioso del valore di Piero Giarda, possono arrivare se non una spending review quantomeno suggerimenti interessanti per discriminare il grano dal loglio. Tenuti fermi, dunque, i vincoli di finanza pubblica dobbiamo sapere però che il sistema delle imprese ha bisogno della riforma fiscale, come con onestà  ha ribadito ieri Emma Marcegaglia. È vero che stiamo recuperando con velocità  insperata le quote di export lasciate sul campo e che si sono aperti per il made in Italy nuovi mercati nei quali eravamo per lo più assenti ma il grosso delle imprese, specie le medio piccole, lavora per il mercato interno. Che risposte pensiamo di dar loro se i redditi ristagnano, i consumi languono, i pagamenti latitano e gli investimenti produttivi vengono rinviati sine die? Chi avanza questa domanda non lo fa per demagogia ma solo perché intuisce che il governo non riesce nemmeno a ideare una politica per la crescita. Forse mancano le competenze.


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