L’utopia leggera fra servi e padroni

by Editore | 7 Giugno 2011 6:26

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Non è difficile capire come mai Le donne del sesto piano sia stato un fenomeno d’incassi in Francia. Una commedia raffinata e popolare, allegra, di buoni sentimenti, ma senza retorica. Un risultato piuttosto raro, visti i tempi. In Italia non avrà  magari lo stesso successo, un po’ perché è molto francese, un po’ perché non è abbastanza volgare da meritare una distribuzione industriale. E poi c’è il tema, l’immigrazione. Un fenomeno troppo recente da noi per riuscire a tradurlo in commedia. Si fanno in genere melodrammi, piuttosto noiosi, che è molto più facile. La maturità  di questo film è la sua leggerezza. L’astuzia è nel parlare non dell’immigrazione di oggi, con il suo carico pesante di dolore e lacerazioni sociali, ma di quella degli anni Sessanta. La storia è ambientata nei quartieri borghesi della Parigi di de Gaulle, prima del fatidico ‘68. Una società  dove ciascuno doveva stare al suo posto. Ai piani nobili del bel palazzo vive la famiglia dei signori Joubert, nel gelido rispetto delle convenzioni. Il signore, Jean-Louis (Fabrice Luchini) è un serissimo agente di Borsa, con un’unica ossessione nella vita: la cottura perfetta dell’uovo alla coque. Suzanne (Sandrine Kiberlain), la moglie che rientra ogni sera a casa estenuata da una giornata di frivolezze. Più due pargoli viziati e già  benpensanti.
Nella soffitta invece s’agita il mondo povero, rumoroso e caldo delle donne di servizio spagnole. Quando i signori Joubert decidono di fare a meno dell’anziana domestica impicciona, si rivolgono alla comunità  spagnola e assumono Maria. L’ingresso della giovane e dolce Maria scardina le certezze dei Joubert. Jean-Louis scopre ossessioni più affascinanti delle uova e, inseguendo Maria, entra in contatto con l’universo del sesto piano, i balli, i canti, le preghiere e la paella, la sofferenza e la lieta fierezza della piccola comunità , sconosciuta eppure protettrice. Conosce la saggia Concepcion (Carmen Maura) e la comunista Carmen, l’infelice Teresa, la pia e la bella, Pilar e Dolores. Per la prima volta si sente a casa, in famiglia, euforizzato dalla gioia di vivere e dalla possibilità  di divertirsi. Scopre la gioia di rendersi utile, dando un senso al proprio potere, al danaro. E’ un’esperienza dalla quale Jean-Louis e neppure la moglie Suzanne riusciranno a tornare indietro. E quando il ‘68 arriverà  per davvero, la loro rivoluzione si è già  compiuta.
La tradizione del rapporto fra padroni e domestici ha prodotto capolavori di profondità  psicologica, nel cinema di Altman, Losey o Chabrol. Non è questa la pretesa del film di Philippe Le Guay, un’opera modesta, nel senso nobile del termine. La storia si muove con il passo lieve dell’ottimismo, fra ironia e utopia. Un po’ come nel bellissimo ultimo film di Kaurismaki, Le Havre, ambientato fra gli immigrati africani di oggi. Senza lo stesso splendore cinematografico, ma con altrettanta passione umana e tenerezza, Le Guay confeziona una commedia umile e divertente, nostalgica ma attuale. Con qualche omaggio, en passant, agli universi sentimentali del grande Pedro Almodovar, non soltanto nella scelta delle attrici e di un’icona del cinema spagnolo come la sempre straordinaria Carmen Maura.
Un discorso a parte meritano i protagonisti, la bravissima Sandrine Kiberlain, una delle migliori attrici francesi, ancora poco conosciuta in Italia, regala un’ampia gamma di variazioni al personaggio dapprima caricaturale e poi sempre più toccante di una signora borghese in guerra con se stessa. E soprattutto lui, il meraviglioso Fabrice Luchini. Autodidatta, figlio di immigrati italiani, Luchini negli ultimi tempi si è specializzato nelle parti di alto borghese in crisi, prima ne Gli invitati di mio padre, quindi in Potiche-La bella statuina e ora in Le donne del sesto piano. Ogni gesto, ogni frase detta o non detta, ogni sguardo esitante o meravigliato, perfino ogni passo di Luchini è da antologia dell’arte di recitare. Il suo Jean-Louis è un ritratto esemplare, oltre che un inno all’ottimismo: la vita può ricominciare anche a sessant’anni.

 

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