L’Opec non alza la produzione, il petrolio vola

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MILANO – «È stato il peggior vertice di sempre». Per una volta, i signori del petrolio mondiale non si nascondono dietro frasi di circostanza. Ieri, il ministro saudita dell’energia Ali al-Naimi non ha fatto mistero del suo disappunto nel commentare la sconfitta dei Paesi che hanno, inutilmente, proposto un aumento della produzione di greggio per calmierare i prezzi. A Vienna il vertice dell’Opec si è concluso con un nulla di fatto: nel senso che i barili estratti rimangono invariati a 25 milioni giornalieri. Se ne riparlerà  fra tre mesi: allora si vedrà  se Libia, Algeria, Angola, Ecuador, Venezuela, Iraq e Iran – che ieri hanno risposto picche alla proposta avanzata da Arabia saudita, Emirati arabi, Kuwait e Qatar – avranno cambiato idea.

Il mantenimento dello status quo ha avuto, come conseguenza, l’immediata reazione dei mercati. Il prezzo del greggio è schizzato verso l’alto: il Brent a Londra è salito a 118,42 dollari, mentre a New York il Wti ha recuperato quota 100 dollari. Delusione anche dall’Iea, l’Agenzia internazionale per l’energia: «Degli aumenti potenziali dei prezzi rischiano di minare la ripresa economica, cosa che non è nell’interesse né dei produttori né dei consumatori».
Fabbisogni energetici e sicurezza degli approvvigionamenti sono due temi sempre più d’attualità . E non solo per la domanda crescente da parte dei Paesi emergenti. Lo ha ricordato, sempre ieri, Paolo Scaroni: per l’amministratore delegato di Eni, l’Italia potrebbe non essere in grado di affrontare una nuova crisi come quella che sta investendo al Libia. Il Paese africano fornisce all’Italia 10 miliardi di metri cubi all’anno di gas (pari al 13% del fabbisogno nazionale), ma in questo momento – a causa della guerra civile – il gasdotto Greenstream non è in attività . «Il nostro Paese – ha sottolineato Scaroni – è in grado di far fronte alla carenza del gas libico, ma non potremo far fronte ad altre difficoltà ».
Una dichiarazione che dagli addetti ai lavori è stata letta come un ulteriore riconoscimento dell’alleanza con i russi di Gazprom, fornitori numero uno di gas all’Eni, ma anche come un invito a realizzare altre infrastrutture che assicurino la certezza degli approvvigionamenti. Scaroni, però, ha chiarito che non si riferiva tanto ai rigassificatori quanto ai tubi. E non solo al nostro Paese. Una soluzione, infatti, potrebbe arrivare dall’Europa, se avesse un sistema integrato di metanodotti. Per spiegarne la necessità , Scaroni ha fatto l’esempio della Spagna che ha sette rigassificatori, ma nessuno che funzioni a pieno regime per carenza di domanda. Ma siccome non ci sono tubi che portano il metano in Francia, non lo si può esportare. «Contro questi colli di bottiglia – ha polemizzato Scaroni – l’Europa non sta facendo nulla».
Scaroni ha, invece, escluso che ci possa essere spazio per lo sviluppo dei giacimenti di gas non convenzionali. Dal metano che viene ricavato dalle rocce non arriveranno soluzioni: «Da noi non è possibile, l’Italia è troppo antropizzata, ma anche in altre nazioni avrà  uno sviluppo più complicato di quanto ci si aspettasse alcuni mesi fa».

 


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