by Editore | 2 Giugno 2011 7:43
ROMA – In Libia la produzione di petrolio è ferma; la benzina e ogni altro combustibile necessari a far marciare il paese sono introvabili; la paralisi totale è sempre più vicina. La notizia nuda e cruda l’ha portata a Roma un pezzo da novanta del regime di Gheddafi, il ministro del Petrolio Shukri Ghanem che da 15 giorni aveva abbandonato il paese, ma ancora non aveva ufficializzato la sua defezione. Da ieri invece Ghanem ha messo la sua faccia nella galleria di quelli che hanno lasciato la corte di Muhammar Gheddafi: è ricomparso a Roma in una conferenza stampa organizzata assieme al suo amico Hafed Gaddur, ambasciatore in Italia schierato da giorni con la rivoluzione.
L’ennesima defezione contro il rais arriva nel giorno in cui l’Onu condanna il regime per le violenze e le atrocità commesse sui civili, ma anche i ribelli, accusati di «aver commesso crimini di guerra».
Ghanem ha spiegato di aver abbandonato il regime «a causa della repressione, delle violenze che vengono commesse contro il popolo libico». Secondo una fonte della Presidenza del Consiglio che ha seguito il suo caso, «le pressioni del regime su parte della sua famiglia rimasta a Tripoli hanno rallentato la sua decisione di abbandonare il colonnello, così come rallentano la fuga di molti altri dirigenti del sistema libico».
Shukri Ghanem formalmente è il capo della Noc, l’Eni libica: grande amico dell’italiano Paolo Scaroni, fino a ieri aveva rango di ministro, rappresentava il suo paese all’Opec, ma soprattutto era al vertice del circolo dei riformisti del regime Gheddafi che negli anni avevano provato a suggerire riforme economiche ma anche politiche al colonnello. Un gruppo che aveva puntato sul ruolo di Saif, il figlio del colonnello da anni predestinato a una successione che non ci sarà più.
È finita come tutti sanno, e a questo punto – dopo la fuga dell’ex capo dei servizi Mussa Kussa – la fuga di Shukri Ghanem è la più forte fra le conferme di disfacimento del regime Gheddafi. Secondo il Guardian, alcuni veterani delle forze britanniche speciali, le Sas, si trovano a Misurata per istruire i ribelli libici. Il colonnello a Tripoli continua però ad avere il monopolio della forza: la Nato non riesce ancora a colpire le sue truppe, le sue milizie in maniera talmente efficace da permettere alla città di ribellarsi. Ieri gli ambasciatori del Consiglio atlantico hanno deciso un’estensione di altri 90 giorni delle operazioni militari. E che la partita militare sia ancora difficile è dimostrato dall’autobomba fatta esplodere a Bengasi di fronte all’Hotel Tibesti, il grande palazzone in vetrocemento in cui c’è anche la sede della rappresentanza dell’Unione europea. E dove alloggia l’ambasciatore italiano, rimasto illeso. «Non ci sono stati feriti – ha raccontato Vincenzo Schioppa – ma l’esplosione è stata molto forte. Ho visto quattro carcasse di macchine, credo sia stata un’autobomba». L’attentato sarebbe soltanto una sfida, una mossa dimostrativa per confermare ai ribelli che in città sono ancora presenti cellule di militanti gheddafiani pronti a colpire nella capitale dei ribelli.
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