by Editore | 28 Giugno 2011 7:51
BRUXELLES – La Corte Penale internazionale, il tribunale delle Nazioni Unite con sede all’Aja, ha emesso mandato di cattura per crimini contro l’umanità a carico del colonnello Gheddafi, di suo figlio Saif al-Islam e del capo dei servizi segreti del regime libico, Abdullah al-Senussi. La decisione è stata presa dal procuratore generale della Corte, Moreno-Ocampo, cui la risoluzione 1970 delle Nazioni Unite, la stessa che autorizzava l’intervento militare per la protezione dei civili in Libia, aveva chiesto di indagare sull’operato del dittatore. «La Corte penale internazionale ha raccolto sufficienti testimonianze sulle violenze commesse dalle forze di Gheddafi», ha spiegato Ocampo. «Ci sono motivi ragionevoli per ritenere che il raìs, in coordinazione con i suoi più stretti collaboratori, abbia concepito e orchestrato un piano per reprimere e spaventare la popolazione che manifestava contro il regime», è scritto nel mandato di arresto internazionale. I tre ricercati devono essere arrestati «per evitare che nascondano i crimini che continuano a commettere e che ne commettano di nuovi».
Gheddafi, il figlio e il capo dei servizi segreti sono incriminati «come autori indiretti» di omicidi, torture e violenze in quanto, secondo l’accusa, «avevano un controllo assoluto» sulle milizie che hanno compiuto materialmente i crimini. La richiesta della Corte è stata accolta da una salva di dichiarazioni soddisfatte. Secondo il segretario generale della Nato, Rasmussen, il mandato di cattura «ribadisce una volta ancora il crescente isolamento del regime» e «rafforza la legittimità » della campagna militare della Nato. A Bengasi e Misurata, le due roccaforti dei ribelli, la notizia è stata salutata da scene di giubilo in piazza. La Farnesina ha espresso soddisfazione «per la rapidità e serietà con cui la Corte ha dato esecuzione al mandato conferitole dal Consiglio di Sicurezza. Nell’assicurare il suo forte e convinto contributo all’attività della Corte, l’Italia continuerà coerentemente, insieme ai propri alleati e partner, il proprio impegno nella missione internazionale». Il ministro degli esteri britannico, William Hague, ha approfittato della notizia del mandato di arresto per lanciare un appello agli ultimi fedeli del regime perché abbandonino Gheddafi. «A diversi livelli di responsabilità le persone dovrebbero riflettere seriamente sulle conseguenze delle loro azioni, sia che essi diano ordini sia che eseguano materialmente gli attacchi contro i civili. Chi prende parte alla repressione deve assumersi l’intera responsabilità delle sue azioni, e ne pagherà il prezzo».
Tuttavia, se la decisione della Corte aumenta l’isolamento del regime e rafforza la legittimità della missione militare condotta dalla Nato, essa rischia anche di rendere più difficile una soluzione negoziata del conflitto. Dopo l’emissione del mandato di arresto, infatti, qualsiasi Paese che aderisca alle Nazioni unite è tenuto ad assicurare Gheddafi e i suoi complici alla giustizia. Questo significa che le ipotesi di un esilio per il raìs e i suoi fedelissimi si fanno oggettivamente assai ridotte. Non c’è teoricamente più un solo Paese al mondo dove Gheddafi potrebbe sentirsi al sicuro e questo rischia di rafforzare la sua determinazione a lottare fino alla morte. In serata il ministro della giustizia del raìs ha spiegato che «la Libia respinge la decisione della Corte e non ne riconosce l’autorità ».
Fino ad ora solo un altro capo di stato in carica è stato colpito da mandato di cattura internazionale della Corte penale: il presidente sudanese Omar Al Bashir, ricercato come mandante dei massacri in Darfur.
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