La sinistra riparta dai movimenti

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Il quadro politico nel nostro Paese è trasformato e si vede in modo quasi fisico che le vecchie classi dirigenti, costituite sui riti consunti delle chiuse stanze del potere, non servono più, occorrono altri modi, altre culture, la politica dei colletti bianchi, delle eterne cooptazioni, delle schiere di yes-man and women, devono lasciare il posto a una nuova pratica democratica. Non servono nemmeno “santoni e predicatori” del cambiamento che in queste occasioni si fanno avanti numerosi approfittando della nuova situazione favorevole alle novità  e non è predicando l’antipolitica che si favorisce un reale rinnovamento. Occorre che dall’interno delle forze politiche cominci una seria riflessione per una grande autoriforma e soprattutto pratiche e comportamenti nuovi. Tra le tante cose da fare credo bisogna ripartire ancora una volta dalla Costituzione, che abbiamo difeso con le unghie e con i denti dall’assalto di questa destra eversiva. La nozione di sinistra cambia forse ancora più nettamente di quanto non stiano crollando tanti luoghi comuni della cosiddetta antipolitica.
Cos’altro è questo vasto movimento che da anni si snoda in tanti avvenimenti? Basta riandare al grande movimento che fu fermato a Genova, a quello contro la guerra in Kosovo e poi in Iraq, della resistenza contro l’annichilimento della libera informazione ad opera del monopolio berlusconiano, dai più recenti protagonisti della difesa dell’acqua pubblica e dei beni comuni, per attraversare la battaglia della Fiom contro l’arroganza Fiat in difesa delle ragioni sacrosante degli operai.
È con questi protagonisti che non sono “altro” dalla politica intesa nel suo senso più alto e nobile che va ritrovata la chiave per ricostruire un senso alla parola “sinistra”, che era finita nell’usura dei termini superflui del vocabolario sociale. I partiti della sinistra, tutti nessuno escluso, o riescono a ritrovare un nesso e un confronto con queste istanze o sono destinati a restare strumenti obsoleti di un sistema al tramonto, capaci forse di trovare qualche accomodamento alle loro legioni di quadri da collocare nel sistema istituzionale ma non certo a saper rispondere alle domande di fondo di una società  in tumultuosa trasformazione.


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ROMA — I parlamentari grillini, ogni volta, cambiano albergo. Quello che hanno scelto per l’assemblea di questa domenica pomeriggio è all’Eur, tra pini alti e pareti di cemento armato, una via di mezzo tra un penitenziario americano e una centrale nucleare.

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