La profezia dell’Economist

by Editore | 15 Giugno 2011 7:38

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Oggi, dopo i risultati del referendum, la risposta è no. Le cose, in questi dieci anni, sono cambiate. È cambiata l’Italia. Purtroppo, come l’Economist dimostra questa volta con un documentatissimo rapporto di quattordici pagine, in peggio. Forse era vero. Berlusconi non era adatto a governare l’Italia.
La sua performance è riassunta dal giornale in tre punti: la “lurida saga del bunga bunga”, il pluricoinvolgimento in una colossale vicenda giudiziaria e, soprattutto – questo è il tema del rapporto e il principale aspetto della fregatura – il declino economico italiano. Che, secondo il giornale, non è un male acuto ma cronico e si riassume in alcuni aspetti ampiamente documentati: il rallentamento dello sviluppo (solo Haiti e lo Zimbawe segnano tassi di crescita inferiori al nostro) il calo della produttività , diminuita in un decennio del 5%, mentre aumentava del 20% in America e del 10% in Gran Bretagna; la caduta libera nella lista dei paesi classificati dalla Banca Mondiale secondo la performance economica, fino all’ottantesimo posto, dopo il Belarus e la Mongolia; la povertà  delle Università  e l’abbandono del paese da parte di giovani che possono permetterselo; il degrado delle infrastrutture; la carenza dei servizi pubblici.
Ora, l’Economist difficilmente potrebbe essere considerato un giornale “comunista” come pare siano tutti quelli che ce l’hanno col Cavaliere. È universalmente considerato come il più autorevole portavoce dell’opinione liberale e liberista.
Forse è per questa ragione che i cosiddetti servo-liberi, quelli che hanno scelto liberamente la servitù (al cuore non si comanda) invocano Berlusconi perché torni alla sua “originaria ispirazione liberale”, dimenticando che di tutto Berlusconi può essere accusato tranne che di questo. Berlusconi non si è ispirato né a Churchill né ad Adenauer, liberali di una destra democratica. Le sue più vive simpatie sono state tributate piuttosto a Bush (junior) e a Putin (lasciando stare per carità  di patria Gheddafi). Non ha cavalcato nessuna rivoluzione liberale, solo una insurrezione populista.
E mi viene una curiosità . Che cosa pensano delle posizioni dell’Economist i nostri autorevoli liberali? Come Panebianco, come Romano. Personalmente ho grande stima per Sergio Romano, storico insigne. Faccio fatica a conciliare la sua ispirazione liberale, una scuola di stile prima ancora che di pensiero, con la volgarità  burina degli attacchi alla sinistra che non si lava. E anche e soprattutto con l’amicizia così intima con un “liberale” come Putin, di cui conosce meglio di chiunque altro la vita e i miracoli. Su ciò, non una parola. Talvolta, anche Omero dormicchia. Del resto, hanno dormicchiato, nel passato della nostra storia liberali ancor più insigni. Come Benedetto Croce. «Quante volte vi ho detto, don Giustino, che la violenza è la levatrice della storia?» diceva a Napoli a Giustino Fortunato, sconcertato di fronte alle manifestazioni della violenza fascista. Senza ovviamente considerare la sua adesione al governo di Mussolini, anche dopo il delitto Matteotti.
Certo, non c’è confronto tra Berlusconi e Mussolini. Proprio nessuno, in nessun senso. Ma talvolta anche i grandi liberali dovrebbero riflettere sulle cauzioni che offrono.

 

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